L’Inter resta una delle sue passioni. Stravagante, affascinante come il verbo e il racconto di Corrado Orrico, ex allenatore nerazzurro agli inizi degli anni ’90. Uno degli allenatori successivi alla rivoluzione culturale imposta da Arrigo Sacchi al pallone in Italia: “Ai tempi dell’Inter mi sono reso conto che la maglia nerazzurra è posseduta da una sorta di virus, il virus della stravaganza. L’Inter è potenza artistica e teatrale, vive sempre nell’ambito dell’impossibile. Era così anche allora, nel mio anno da allenatore”. Orrico ha osservato da tifoso il successo dell’Inter nell’andata di semifinale di Champions League: “È stata la prova della forza dell’Inter, una squadra fortissima, con calciatori di grande qualità e a maggior ragione mi chiedo come abbia fatto a non contendere lo scudetto al Napoli sino all’ultima giornata e invece è a 20 punti di distacco in classifica, pur disponendo della squadra più forte della Serie A”. Orrico che per il match di ritorno recupera Einstein: “La meccanica quantistica si basa sul calcolo delle probabilità, Einstein diceva che Dio non gioca a dadi, invece l’Inter lo fa spesso. Quindi, se è in giornata balorda, il Milan potrebbe rientrare in partita. Certo poi, ha pesato l’assenza di Leao e il Milan per il suo dna, per sua natura, sa sostituire un calciatore di classe con uno di forza, di quantità, ne hanno tanti, soprattutto centrocampisti box to box, come dicono gli inglesi, che corrono e coprono tanto campo. Quindi, è tutto aperto, pesa il codice genetico dell’Inter, che non cambia mai, a distanza di decenni, di proprietà diverse, allenatori, dirigenti e calciatori che si sono succeduti. È un qualcosa di poco spiegabile”.
Nell’estate del 1991 quando l’Inter si trova a dover scegliere il nuovo allenatore dopo gli anni vincenti di Giovanni Trapattoni che hanno lasciato in dote uno scudetto, una Supercoppa Italiana ed una Coppa Uefa Ernesto Pellegrini, presidente interista, sceglie Orrico, che ha appena guidato la Lucchese da neopromossa in serie B dopo che l’anno prima l’aveva condotta alla promozione dalla C1: toscano dalla lingua fluente e corrosiva, il gioco armonioso, frizzante, organizzato alla Lucchese. Principi codificati, il collettivo: una specie di Sarri in versione anni ’80. Qualche anno prima Sacchi al Milan aveva segnato la storia del calcio italiano, tra pressing, schemi e mentalità offensiva. L'esperimento Orrico non diede risultati: “Io non avrei potuto debellare la presenza di questo virus ad Appiano Gentile. L’Inter è una modella affascinante e stravagante. Ma anche una compagnia di jazzisti, ognuno va per conto suo e soprattutto non è una squadra concepita, indirizzata alla vittoria. Piuttosto è innamorata del percorso per arrivare alla vittoria, un’eroina romantica che non rinuncia mai al percorso di sacrifici, pazzie, salite e discese. Certo, non è come la Juventus o il Milan, che sono geneticamente differenti, programmate per vincere, con poco spazio alla fantasia”.
Orrico racconta di tifare sia per la Juventus che per l’Inter: “Me ne rendo conto, sono forse l’unico in Italia a tenere per entrambe, infatti quando giocano contro, non guardo la partita, da una parte vinco, dall’altra perdo, ma l’Inter mi fa sorridere e dannare: ha vinto tutto quello che c’era da vincere con Mourinho, con un capo dotato di pragmatismo che almeno per un paio di anni ha tenuto a bada l’anima stravagante dell'interista. Da allora, eccetto la parentesi con Antonio Conte, è tornata la solita Inter, bella, bellissima a tratti e poi spenta, perduta”.