È un uomo di visioni. Di contrasti, di litigi, di asprezze. Di cambi istantanei di prospettive. Con una personalissima visione del mondo, che non sempre cattura consensi. Aurelio De Laurentiis, 73enne produttore e proprietario della FilmAuro e da ieri soprattutto il presidente del Napoli del terzo scudetto, ha disegnato il percorso di rinascita del club campano quasi 20 anni fa. È un personaggio che mancava al calcio italiano e in un certo senso ha provato, riuscendovi sinora in gran parte, a riscrivere la sceneggiatura del pallone in Italia come fece Silvio Berlusconi negli anni ’80, quando il Cavaliere acquistò il Milan, rendendolo poi un globetrotter nel mondo. Svecchiare, rivoluzionare, riscrivere il calcio è la sua mission. A differenza di Berlusconi, storico tifoso rossonero, De Laurentiis sapeva poco o nulla di calcio. Ha studiato, sbagliato, esagerato, centrato il tiro. Soprattutto, affinato un fiuto naturale per chi gli lavora intorno.
Ovviamente le forze economiche con l’ex presidente del Milan sono quantomeno dispari: il Napoli vince, si tiene al vertice con l’autofinanziamento, con il player trading di qualità, valorizzando il brand conosciuto nel mondo e che cresce soprattutto in Nordamerica. De Laurentiis ha acquistato il titolo sportivo del Napoli, finito per aria in tribunale, per 29 milioni di euro e con qualità, metodo, difficoltà iniziali, ha tracciato programmi di cinque anni per gli step di crescita del club reso leggenda dagli scudetti, dalle coppe europee, dalla magia di Diego Maradona e poi sempre più in calo, fino al fallimento e alla ripartenza dalla Serie C.
Il suo modello societario sembra ispirarsi allo stato leggero di Reagan o di Margaret Thatcher, che spesso invoca a proposito del modello che avrebbe eliminato gli hooligan dal calcio: comanda lui, hanno voce in capitolo un paio di dirigenti fidati, un ufficio stampa minimale, qualche addetto al marketing. Una struttura da pmi, che ha saputo superare colossi industriali alle spalle delle big del Nord, soprattutto Inter e Juventus, senza investimenti sulle strutture societarie, dallo stadio di proprietà al training center. Prima dello scudetto sono arrivate coppe, supercoppe, la presenza fissa o quasi tra le prime tre in classifica. Nel 2018 è sfumato il titolo, in circostanze controverse. Stavolta è arrivato, in anticipo, con distacco siderale sulle avversarie.
Gli eccessi verbali di De Laurentiis sono conosciuti. Alcuni sono stati volutamente plateali perché al patron del Napoli piace stupire, lasciare interdetti, andare oltre e rattoppare. È un istintivo, anche troppo, come spesso ha raccontato in prima persona. Ma la sua parte razionale è sottostimata ed è invece la chiave dei successi del Napoli: sempre conti in ordine, la grammatura al dettaglio del bilancio. Soprattutto, conserva dopo 20 anni la rara capacità di centrare con percentuale bulgara i suoi collaboratori di lavoro, dagli allenatori (Mazzarri, Benitez, Sarri, Spalletti) ai collaboratori: prima Pier Paolo Marino (ora all’Udinese) per il varo della sua creatura dalla C e poi Cristiano Giuntoli, l’architetto tecnico dello scudetto del Napoli, che in tre stagioni ha portato in Campania Osimhen, Kvaratskhelia, Kim, Raspadori, Simeone.
Ha spiegato di voler vincere la Champions League, dopo aver fatto centro con il tricolore, mandando in estasi milioni di tifosi. La questione europea è certamente più complicata, anche perché il patron del Napoli lancia stilettate da anni contro la Fifa (storica la crociata contro Michel Platini) e l’Uefa, gli organismi di potere del calcio che ostacolano il cambiamento da lui sostenuto da tempo per valorizzare il prodotto. La rivoluzione riguarda soprattutto la vendita dei diritti tv di Serie A: De Laurentiis accusa i colleghi presidenti di accontentarsi delle briciole senza guardare al futuro. Da lui arriva la sollecitazione continua per la riforma del format del calcio, che non attira più i più giovani, annoiati dalla lunghezza eccessiva delle partite. È l’unico proprietario di club che ha ingaggiato la sacrosanta battaglia contro il potere degli ultras nel calcio italiano, con cui ha dovuto siglare una tregua nelle ultime settimane per rasserenare l’ambiente napoletano: insomma, le idee non gli sono mai mancate. E non mancheranno, questo è certo.