Milano è senza memoria e la storia si ripete: la recente vicenda di piazza Baiamonti, dove l'attore meneghino Giovanni Storti, già attivista contro le buche, si è schierato per salvare i giardinetti intitolati a Lea Garofalo, testimone e vittima di omicidio da parte della 'ndrangheta in Lombardia, rimanda a un indentico caso di cittadini contro l'abbattimento degli alberi a Milano, ben 17 anni fa: nel 2006, con protagonista anche un altro personaggio pop, Rocco Tanica. Nel maggio 2023 sono state raccolte 50.000 firme di cittadini milanesi per salvare l'ottantenne pianta di glicine e l'annesso giardinetto con alberi decennali, che è dedicato alla giovane vittima Lea Garofalo: la donna fu rapita e uccisa a Monza dalle cosche stanziali nell'area milanese della criminalità organizzata calabrese in quanto collaboratrice con la giustizia italiana e pertanto il suo esempio viene ricordata ai posteri meneghini. Ad memoriam, questo è lo scopo che nel 2023 pare desueto per il Comune di Milano. Pochi giorni fa, senza la compagnia di Aldo e Giacomo, il grandissimo attore Giovanni Storti, membro del noto trio comico che si è re-inventato "giova" sui social network, si è apertamente schierato contro il sindaco di Milano, Beppe Sala, nonché contro il devastante capitalismo di cui l'attuale amministrazione del Comune di Milano è bandiera, braccio e mano. Anche se, per strategia politica, tale utilizzo di risorse pubbliche per arricchire i fatturati di aziende private è condito da vocaboli inclusivi come: diritti civili, femminismo, ambiente, schwa ed ecologia. Ovvero le parole care alla "sinistra woke" e alle elettrici ed elettori del PD meneghino, coloro che votano nella ZTL più ricca della Penisola.
L'appello pubblico dell'attore milanese Giovanni Storti via social network, intende salvare i giardinetti, con glicine e tigli decennali, dal previsto abbattimento di piazza Baiamonti per costruire il nuovo palazzo piramidale, che è progettato da uno studio di archistar d'Europa, che ha vinto il bando per il nuovo Museo Nazionale della Resistenza. Come nel caso della passerella "instagrammabile" che il Comune di Milano ha strategicamente progettato per rendere ancora più vistoso e commerciale il già turistico Museo del Novecento in piazza del Duomo a Milano, è evidente che l'attuale amministrazione del Comune di Milano persegue la propria linea politica di lasciare un indelebile marchio sulla città, però cancellando ciò che c'era prima o che è il caso di conservare per le future generazioni dei cittadini meneghini. Già il sommo Vittorio Sgarbi, che in città è ancor'oggi ricordato come memorabile ex assessore alla cultura, si è speso contro la triste operazione prevista per il Museo del Novecento che rovina, per valorizzare commercialmente l'area dell'Arengario persino con nuovi negozi e un hotel, anche la vista sulla storica e retrostante piazza Diaz. Ma il noto senatore, che è autorevolissimo storico e critico d'arte, si è adirato anche contro il recente abbattimento di una storica palazzina, che era uno degli esempi architettonici del Liberty a Milano, sempre ad opera delle capitalistiche mani sulla città e senza alcun cenno, nemmeno simbolico, da parte del Comune di Milano, del sindaco, dell'assessorato alla cultura o dei tanti, probabilmente pure troppi, dirigenti e funzionari che si dovrebbero occupare di preservare per le future generazioni di meneghini la storia e la cultura di Milano.
Infatti migliaia di milanesi si sono opposti e hanno firmato contro l'abbattimento degli alberi di piazza Baimonti e la nuova funzione dello spazio pubblico decisa dal Comune di Milano. La vicenda e l'interessamento di Giovanni Storti, ricordano ai cittadini più anziani della città l'identica vicenda del 2006: l'abbattimento del "Bosco di Gioia". Riassumiamo la vicenda, per i giovani e i city users arrivati da poco a Milano: dove oggi sorge l'enorme Palazzo Lombardia, fino a 17 anni fa era presente un bellissimo boschetto cittadino con circa 200 alberi. L'area era occupata in precedenza dal vivaio Fumagalli, che venne sfrattato e lasciò libero il terreno nel 2001 dove il trittico istituzionale composto da: Regione, Provincia e Comune, aveva in programma di costruire il nuovo Palazzo della Regione Lombardia a Milano. Per inquadrare le coordinate economiche e politiche: ai tempi l'amministrazione regionale era a guida centrodestra, con "il celeste" Roberto Formigoni, mentre il Comune era sempre di centrodestra e amministrato dal sindaco, noto vespista e alle volte ritratto "in mutande", Gabriele Albertini, cui seguì proprio nel 2006, la sindaca ed ex ministro Letizia Moratti, di cui l'attuale sindaco di Milano, Beppe Sala, fu il City Manager tre anni dopo.
Gli alberi nel terreno incolto e abbandonato sono diventati un bosco cittadino, che gli abitanti del quartiere chiamarono appunto: "Il Bosco di Gioia". Per farla breve: alcuni abitanti cercarono di salvare le piante del bosco di Gioia, chiedendo a Provincia e Soprintendenza di porre dei vincoli ambientali, senza alcun successo. Allora a marzo 2005 si costituì un comitato cittadino e furono raccolte oltre 15.000 firme per la petizione contro l'abbattimento. La Regione e il Comune non accolsero le richieste dei firmatari e si limitarono a promettere che due alberi sarebbero stati mantenuti sul posto e che le altre piante sarebbero state traslocate in altre aree della città. Nel 2023 sopravvive solo una di queste piante: una magnolia, che si vede da via Francesco Algarotti. Le altre sono morte durante i lavori di costruzione del Palazzo Lombardia. Infatti durante le ferie natalizie, precisamente il giorno 27 dicembre 2005, iniziarono i tagli delle piante e si ricorda che un ambientalista si arrampicò come scudo umano su una pianta e persino un premio Nobel, il milanesissimo Dario Fo, portò il proprio sostegno all'iniziativa. Nonostante le manifestazioni di protesta, già a gennaio 2006 le piante erano state abbattute o trasferite e alla fine dell'anno fu avviato il cantiere di costruzione sul terreno del Bosco di Gioia del nuovo enorme Palazzo Lombardia.
Non solo Nobel. Tra gli abitanti del quartiere che animarono la protesta a Milano uno dei più attivi fu il tastierista Rocco Tanica, del gruppo Elio e le Storie Tese, che ha persino svolto un digiuno in segno di protesta. Come Giovanni Storti nel caso del 2023 di piazza Baiamonti, anche il geniale gruppo meneghino degli Elio e le Storie Tese, hanno dedicato alla vicenda il proprio pensiero creativo. Al fine di conservare per i posteri la storia del "Bosco di Gioia" e di come è stato cancellato da Milano, la band milanese ha creato un singolo che è attualissimo dopo oltre un quindicennio: "Parco Sempione". Riproponiamo qui sotto il video: all'interno Elio e i membri del gruppo "perculano" l'affarismo immobiliare di Milano, nonché l'ecopass, che è il papà delle attuali politiche sulla circolazione a pagamento dei veicoli, ovvero le milanesi area-c e area-b. Nel videoclip della canzone il protagonista è un suonatore di bonghi che è interpretato da Maccio Capatonda, mentre il titolo è un riferimento per lo storico parco, il più "hippy" fino agli inizi del millennio, che è sito nel centro di Milano.
Il lampante testo del singolo di Elio e le Storie Tese, racconta con schietta ironia che ne è stato de "Il Bosco di Gioia" e riassume bene quali sono le scelte politiche, anche oggi nel 2023, circa il verde all'interno del territorio di Milano:
Sedicimila firme
Niente cibo per Rocco Tanica
Ma quel bosco l'hanno rasato
Mentre la gente era via per il ponte
Se ne sono sbattuti il c***o
Ora tirano su un palazzo
Han distrutto il bosco di Gioia
Questi grandissimi figli di t***a!
Come sottolineano la canzone di Elio del 2008 e un aforisma attribuito al filosofo tedesco Karl Marx di due secoli fa: "la storia si ripete: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa".