Milano non ha spinto sul bando per la “forestazione urbana” perché il crocevia tra retorica green e spinta alla reale messa in atto di politiche di sostenibilità danneggerebbe il vero valore aggiunto della città, l’attrazione del capitale immobiliare, ma anche perché la struttura geografica dell’ex Provincia lascia poco spazio a nuove coltivazioni come richiesto dai bandi. Si capisce perché il piano “ForestaMi”, che mira a plantumare tre milioni di alberi entro il 2030 ed è gestito dal Comune, non sia stato dotato delle notevoli risorse del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza attraverso il grande progetto di forestazione urbana che garantiva 12 milioni di euro di fondi europei al capoluogo lombardo. Fondi a cui il Comune e la Città Metropolitana guidati da Beppe Sala hanno volutamente rinunciato non partecipando al bando in assenza di imprese che si volessero cimentare. Ma si tratta di una qualche forma di sabotaggio del sindaco progressista Doc al governo di destra per far fallire il suo percorso verso il Pnrr? O del complotto di una non meglio precisato gruppo di affaristi e palazzinari? Nulla di tutto ciò.
Il primo vincolo è di mera matrice territoriale e geografica. Molto semplicemente – e lo riportano anche i dati del bando del Pnrr per la forestazione urbana delle quattordici città metropolitane – oltre il 59,7% del territorio della Città Metropolitana, dato molto spesso sottovalutato, è già “verde”, per quanto in un modo diverso rispetto a quello che il progetto immaginava. Risulta infatti coperto da campi e attività agricole quasi i due terzi del territorio dell’ex provincia di Milano.
In questo dato, tra le quattordici città metropolitane Milano batte Roma (57%), Napoli (50%) e Torino (34%) ed è quinta. La superano solo Bari (82,9%), Bologna (67,1%), Palermo (66,2%) e Venezia (66%). Contando che Milano con 1.575 chilometri quadrati di superficie e circa 3,25 milioni di abitanti è al tempo stesso la terzultima città metropolitana per dimensioni (supera solo Napoli e Cagliari) e la seconda per popolazione (dopo Roma), il dato sulla carenza relativa di spazio appare ancora più lampante.
Secondo il bando, “ciascuna proposta di forestazione, da attuarsi con rimboschimenti, deve fare riferimento a un’area complessiva di almeno 30 ettari in un contesto urbano e periurbano, e di almeno 50 ettari in ambito extraurbano. I singoli progetti possono fare riferimento ad aree non contigue purché strutturalmente e funzionalmente integrati in un progetto unitario” e divise in lotti di 3-5 ettari ciascuna. Inoltre, ogni Città metropolitana avrebbe dovuto presentare un numero minimo di 5 proposte progettuali che prevedano in totale la forestazione attraverso rimboschimenti di almeno 150 ettari. Facendo due conti, il 59,7% della superficie di Milano coperta da parchi agricoli di varia natura e campi equivalgono a circa 940 chilometri quadrati. Significa che Milano avrebbe avuto spazio solo su poco più di 600 chilometri quadrati per trovare i primi 150 ettari da progettare. Una spinta che appare in contrasto con il piano di forestazione del comune, molto più diffuso e previsto da qui al 2030 contro la scadenza del 2024 del bando europeo.
A Milano e dintorni c’è poco spazio, e la scelta politica è andata nella direzione del non cavalcare un bando che dava destinazioni rigide alle aree verdi. Non si può certamente negare che, in prospettiva, tra Olimpiadi e altri grandi eventi il comune aspetti un nuovo boom immobiliare e possa immaginare, in città come in periferia, di destinare all’edificazione di nuovi complessi dirigenziali e abitativi il terreno oggi libero. E del resto, è vero quanto scrive Altroconsumo secondo cui “è difficile pensare di mettere a dimora alberi e allo stesso tempo non fermare il consumo di suolo, strizzando continuamente l’occhiolino alla rendita fondiaria e immobiliare e al business del cemento. Guidare a fari spenti nella notte usando solo l’acceleratore e non il freno porta allo schianto”. Ma a Milano è difficile immaginare come i 12 milioni di euro per i progetti di impianto di alberi avrebbero potuto essere impiegati tutti assieme per trovare uno spazio tale da essere avviato in pochi mesi alla forestazione, complice la cronica carenza di suolo.
Certo, è vero che in diversi casi “Milano e i vari Comuni della Città metropolitana non hanno mai fatto nulla per fermare il consumo di suolo”, ma al contempo c’è anche un tema di grande rigidità progettuale e finanziaria del Pnrr che non aiuta a sviluppare le strategie ottimali. E se siamo certi che Sala non si starà stracciando le vesti per i fondi non arrivati, ampiamente compensati in futuro dal capitale finanziario e produttivo, è anche chiaro che l’ambientalismo à la carte del sindaco politicamente crea dei problemi. E permette di pensare a un’elite milanese autocentrata come mai lo era stata in passato. Mentre, al contempo, la scarsa flessibilità dei bandi europei si mostra da certe proposte che finiscono per lasciare deserti i potenziali finanziamenti.