Ormai sono uno fenomeno mitologico, le borseggiatrici di Milano: tutti ne parlano, tutti le filmano, tutti le insultano o ci ridono sopra, e alcuni provano a bloccarle (anche se a quanto pare nessuno le tiene in prigione o perlomeno le mette in condizioni di non nuocere). Un fenomeno mitologico, sì, ma anche molto concreto e, almeno per quel che riguarda soldi, smartphone e tutti gli annessi e i connessi, pericoloso e molto fastidioso, assieme ad altri che caratterizzano le grandi città. Per cercare di capire e di documentare come si muovono, MOW ha passato una giornata in “compagnia” di queste figure quasi universalmente detestate. Che sì, esistono davvero e spesso sono proprio come le dipingono. Lo scenario è quello della metropolitana di Milano, dove usando come guida i gruppi Telegram che le segnalano il direttore di MOW Moreno Pisto è andato alla ricerca delle borseggiatrici. E le ha trovate (ne è nato anche un servizio andato in onda a Zona Bianca su Rete 4).
Sono una ventina, e per la loro attività si dividono in gruppi di quattro-cinque, anche se per scippare preferiscono muoversi da sole o al massimo in coppia. Hanno abbandonato le gonne larghe e si vestono come normali turiste per confondersi meglio nella folla. Hanno sempre foulard o sciarpe per nascondersi (in particolare per nascondere la mano che agisce attingendo dalle borse o dalle tasche altrui) e spesso felpe con cappuccio.
La tecnica è sempre la stessa: le borseggiatrici decidono chi colpire alle macchinette dove si fanno i biglietti, guardano dove la vittima prescelta mette il portafogli e poi entrano in azione. Gli orari migliori sono i più affollati, a pranzo o alle 18.
Una ha in mano un telefono costosissimo. A chi le contesta di averlo rubato risponde che non è vero. E, riguardo al fatto che dopo un furto sono subito in libertà, sfodera un benaltrismo abbastanza fantasioso: “E i pedofili che li fanno uscire dopo che ammazzano i bambini piccoli, per quello va bene la legge no?”
E, una volta individuate dalla gente, incredibilmente alla prima fermata sono loro a chiamare la polizia e a minacciare di fare denuncia: “Tutti contro di noi, tu vuoi fare la denuncia, poi la facciamo anche noi”. Sì, perché spesso sono proprio loro che preferiscono andare in Commissariato per sfuggire a chi le insegue per filmarle.
Alla fine, dopo molte insistenze, alcune di loro decidono di parlare e danno la loro versione: “Prima – confermano – ci mettevamo gonne lunghe, ora ci vestiamo normale, non è che siamo qualcosa di speciale”. E una volta che hanno rubato dove mettono la refurtiva? La tengono a la passano a qualcun altro? “La mettiamo in tasca”.
Quanto ai guadagni, negano di “incassare” molto e sostengono di dare quasi tutto il ricavato ai boss (“da Milano, da Venezia, dalla Spagna, dalla Bosnia”): “Da 2.000 davo a lui 1.900 e mi rimanevano in tasca 100 euro e andavo avanti con i miei figli. E io giustamente non voglio fare questa vita di merda, perché io voglio dare un futuro ai miei figli, per andare a scuola, per mantenere i miei figli con soldi sudati, non con soldi sporchi”. E ancora: “Al mio posto cosa facevi tu? Io in Bosnia nemmeno da morta io ci vado, perché se vado lì mi ammazzano, e almeno qui il Governo mi aiuta. C’è la polizia, grazie a Dio che c’è la polizia”.
Qualcosa pare non tornare in queste parole. Ma tant’è…
Un’altra borseggiatrice, 29 anni, ha raccontato al Corriere di avere 9 figli, tutti in Bosnia, l’ultimo dei quali nato a dicembre. Se ne occupa il marito, che non lavora, perché ci pensa lei a mantenere la famiglia, riuscendo a far propri fino a 1.000 euro al giorno: “Un’eccezione, perché anche 500 sono una fortuna ora che la gente gira con poco contante. Io però ho pazienza. Sette giorni su sette, dalla mattina alla sera”. E sa di non rischiare nulla, per merito della maternità (altro lavoro?): “Non mi portano più nemmeno in caserma. Prima ci finivo anche più volte al giorno: sempre rilasciata perché incinta o in quanto madre di neonati”.
Nell’intercettazione di un gruppo che gestisce i borseggi in metropolitana si sente dire: “È proprio un paese di handicappati, l’Italia. Però è un paradiso per gli zingari!”. Risata. Un sistema organizzato, secondo chi indaga, con ruoli ben definiti: le donne rubano, gli uomini organizzano le spedizioni delle ladre nelle zone più affollate, dopodiché si occupano di spartirsi i guadagni.
Tra chi si occupa da molto tempo di questa piaga c’è “Striscia la Notizia”: “Continuiamo a ricevere migliaia di segnalazioni – ha spiegato Valerio Staffelli al Corriere – da parte di cittadini esasperati: pensionati, studenti, persone extracomunitarie, lavoratori, turisti. Il Tapiro? Va a tutti noi che subiamo un sistema giudiziario che sta alleggerendo il peso delle condanne, mentre chi delinque s’ingegna a praticare nuovi schemi, nuove truffe. E senza querela, ora che è in vigore la legge Cartabia, il reato di furto non è perseguibile d’ufficio. E accade spesso che una borseggiatrice arrestata venga rilasciata dopo tre ore. Una grande frustrazione, un senso di impotenza”. Per l’inviato di Striscia “non sono ladruncole improvvisate, semmai una vera organizzazione. A Milano saranno almeno 30-40 donne e una manciata di uomini, e lo dico avendoli visti all’opera. Fanno a turno con sodali di Barcellona: Spagna e Italia hanno le norme più leggere. Ma ci sono anche battitori liberi, italiani compresi. Spesso puntano persone anziane, che ne escono psicologicamente distrutte. E non va meglio ai turisti stranieri: lontani da casa senza soldi e documenti. Le tecniche dei furti sono in evoluzione”. Tra le ultime, applicata fuori dalla metropolitana (per esempio tra i tavolini all’aperto dei locali”, c’è quella del foglio: appoggiano una mappa su un tavolo, “casualmente” sopra uno smartphone che attira la loro attenzione, fingono di chiedere informazioni e con l’altra mano da sotto sfilano il telefono e tanti saluti.