La fotografia della conferenza stampa della prossima Milano Art Week, la "settimana dell'arte" organizzata dal Comune di Milano che partirà l’11 aprile, è impattante e non lascia spazio a dubbi: l'attuale Assessore alla Cultura del Comune di Milano, Tommaso Sacchi, è seduto con altri tre uomini, manager dell'istituto bancario che è sponsor dell'evento milanese. Sono tutti maschi e intenti a parlare: Manel & Mansplaining, come si dice oggi in termini "woke" accusando il patriarcato. Ma il cortocircuito è creato dall'Assessore del Comune che ha reso l'inclusività una propria bandiera di marketing, professata a favor di consenso. Come si vede a occhi aperti: le donne sono solo nella locandina di Milano Art Week, che si vede proiettata sugli schermi. Le immagini delle donne fanno da mero sfondo, con una (bella) fotografia che ha un taglio inclusivo, con vari fenotipi di esseri umani femminili, di ogni forma, età e colore. Comunicazione del campo visivo: l'inclusività femminile funge da scenografia per lo spiegone del poker di uomini ritratti nella foto. La classe non è acqua. Questa foto del 2023 rimanda a un'immagine del 2019: una foto per cui si scusò in prima persona proprio il sindaco Beppe Sala. Il First Sciuro di Milano scrisse un post su Facebook in risposta alle rimostranze ricevute dalla cittadinanza, a causa di una fotografia ufficiale per l’inaugurazione dei padiglioni della Fiera di Milano del Salone del Mobile di quell'anno: nell'immagine in questione si vede Beppe Sala sorridente, raggiante e tagliente, insieme ad altri dieci potenti uomini, come l'allora ministro Salvini e il governatore lombardo Fontana, simbolicamente in cameratissimo unisono, con in mano forbici e nastro per il via dell’esposizione meneghina. Il sindaco pubblicò un lungo post di scuse per placare i commenti social del proprio elettorato: “Sto ricevendo tanti messaggi di irritazione per la fotografia di ieri al taglio del nastro del Salone del Mobile. Una decina di uomini pronti al taglio del tricolore. Solo maschi. In effetti non possiamo che dire che quella è una immagine profondamente sbagliata. Lo dobbiamo dire anche a quelli che pensano ‘sì, ma le cose importanti sono altre’. Non è così, sono molto importanti anche queste situazioni e perciò non posso fare altro che scusarmi e promettere che mi impegnerò affinché tali episodi non si abbiano a ripetere (indipendentemente dal fatto che sia io o meno l’organizzatore dell’evento)”.
Dire, fare, blablare. Nel 2023 l'immagine “only men” e parecchio simile, è stata scattata in occasione della presentazione alla Stampa della Milano Art Week. Dicesi: la settimana dell'arte. Prima era solo il MiArt, che è la fiera commerciale fuori città frequentata dagli addetti ai lavori, ma una volta si sommavano sporadici eventi di gallerie e artisti, spesso poco noti e molto underground, sparsi in giro per la metropoli. Però negli ultimi 15 anni, in cui Beppe Sala si è alternato tra ruolo di City Manager e Primo Cittadino di Milano, tutte le amministrazioni comunali al governo della città, da Letizia Moratti a Giuliano Pisapia, passando per le due volte di Beppe Sala, insieme ai grandi potentati economici milanesi, se ne sono impossessati: l'Arte e la sua storia, nella città di Milano, è sempre una questione economica tra soggetti privati. Anche se il patrimonio è quello pubblico e di proprietà dei cittadini milanesi. Storicamente a Milano l'Art Week non decolla: non è un evento che prende e che rende. Come avviene invece per altre manifestazioni cittadine, più coerenti e storicamente più attinenti. Ad esempio, proprio il Salone del Mobile, per cui si è scelto il globalizzante termine “Design Week” e che include il succulento “Fuorisalone”: al pari dell'aperitivo (l'ape, in milanese), il fuorisalone è un rito meneghino che Milano ha insegnato ai pezzenti che vivono nel resto del Pianeta. Oppure come la più antica fiera commerciale dell'umanità: l'EICMA, la “Esposizione Internazionale del Ciclo, Motociclo e Accessori”. L'acronimo fu coniato ai tempi dannunziani del copywriting italiano, anni in cui a Milano l'Arte era futurista e gli esseri umani si scazzottavano per una “Rissa in Galleria”. Mentre nel nuovo millennio, al fine di rendere più importante la settimana dell'arte, come le note kermesse sparpagliate in Europa a partire dalla celeberrima Art Basel, a Milano si è anche cercato di collegare l'Art Week “a traino” di grossi appuntamenti. E infatti anche nel 2023 la settimana dell'arte si conclude il giorno prima dell'apertura del Salone del Mobile. E c'è da notare che protagonisti dell'edizione di quest'anno “saranno anche gli spazi di Triennale Milano con due nuove mostre (Lisa Ponti. Disegni e voci e Text), un nuovo allestimento per il Museo del design italiano, performance e installazioni”, si legge nel comunicato con il programma del Comune di Milano. Tornando alla fotografia che ritrae il "manel" di soli uomini, lampante simbolo del potere maschile: l'immagine è stata scattata durante la presentazione a fine marzo del main sponsor di Milano Art Week, che è Banca Generali. Nel comunicato prontamente informa di: “Un’iniziativa particolarmente sentita e attesa dal pubblico”, che più avanti si scopre essere: “l’apertura gratuita per tutta la giornata di sabato 15 aprile del Museo del Novecento”. Sulla scelta, non poco casuale, dell'arcinoto Museo del Nove-centro di interessi di Milano, è opportuno approfondire in seguito. Ma è quasi fantozziana la comunicazione che è riservata a quei poveracci dei cittadini di Milano: “Nella giornata di sabato 15 aprile, il biglietto sarà simbolicamente offerto dalla Banca del leone così da consentire a tutti l’ingresso gratuito agli spazi del più importante museo cittadino d’arte contemporanea”, a parte che il XX secolo è finito da più di vent'anni e che tale istituzione è pagata dai cittadini di Milano proprio perché dovrebbe occuparsi di preservare e valorizzare nel mondo l'arte di Milano e di quel secolo, mica del contemporaneo XXI. Leggendo verrebbe da dire: “Com’è umano, lei” e pare proprio un testo scritto dal sommo Paolo Villaggio: “All’entrata del Museo, tutti i visitatori riceveranno in omaggio un leafleat sull’educazione finanziaria sviluppato da Banca Generali, nell’ambito dei propri programmi sociali”. Cari inferiori, andate in pace e finanziatevi tutti.
Ironia pecuniaria a parte, il fine dell'iniziativa è lodevole: “Per avvicinare il grande pubblico ai capolavori dell’arte contemporanea italiana, Banca Generali e il Comune di Milano aprono in via straordinaria per il quinto anno consecutivo le porte del Museo del Novecento di Piazza del Duomo”. Però nel testo si omette di segnalare che, al contrario dei 4 anni precedenti, uno dei capolavori che era custodito proprio al centro del Museo del Novecento non c'è più, lo hanno tolto. Si tratta dell'iconico Quarto Stato di Pelizza da Volpedo: era posizionato a favor di vetrata fin dal 2010. Infatti il dipinto era al centro del progetto del museo, ideato all'epoca del sindaco Letizia Moratti e per mano dell'archistar Italo Rota. Un pezzo fondamentale di quel museo in cui Milano riponeva molte speranze e troppe presentazioni di album musicali, serie TV e foto di moda su piazza Duomo. Un pezzo iconico e rappresentativo come la faticosa camminata in salita, che ha reso il Museo del Novecento un fac-simile turistico del MoMa e che a ogni turista al mondo, ricorda “quella volta che siamo stati a New York”. Forse l'enorme e inconfondibile dipinto dell'800 è stato spostato perché attirava i visitatori planetari senza necessitare giustificazione. L'opera iconica è stata abilmente movimentata in pompa magna, così che nessuno in realtà se ne accorgesse, durante la scorsa primavera 2022. Un progetto dell'attuale Assessorato alla Cultura del Comune che ha previsto un viaggio sulla rotta Milano-Firenze-Milano e che, nel drop-off conclusivo, ha posizionato altrove l'enorme tela: dal museo più turistico di piazza del Duomo, alla meno instagrammabile GAM di Milano. MOW aveva provato ad avvisare i cittadini di Milano circa la singolare operazione in atto al Museo del Novecento, spiegando perché il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo si andava a fare un giro proprio a Firenze e non a Canicattì. Il punto di contatto sono infatti quasi sempre i nomi e i cognomi: dirigenti, funzionari e amministrativi che, come spesso descrive la fine penna di Roberto D'Agostino su Dagospia, fanno parte di quel “deep state pubblico” che detiene il reale potere. Ma pure i nomi di alcune persone con ruoli politici, come l'attuale Assessore alla Cultura di Milano, Tommaso Sacchi, che si è alternato tra Milano e Firenze e sempre a riguardo di medesimi uffici d'ambito Cultura. In realtà si aggiunge un’esperienza in un famoso museo di Marsiglia in Francia, ma ai milanesi interessa di più la chiamata personale in quel di Milano, dopo il bis vincente del sindaco Beppe Sala alle ultime amministrative cittadine. Il tour in pompa magna a Firenze del famoso Quarto Stato non è stato per caso, ma per qualcosa: a molti cittadini milanesi è subito parso molto singolare che un'opera importante, che era appositamente posizionata fin dalla nascita del Museo del Novecento per esserne simbolica protagonista, non fosse più tra gli interessi e gli obiettivi delle conservatrici e dei tecnici dell'istituzione museale di Milano. Difficile è infatti immaginare un surreale dialogo tra due francesi responsabili del Louvre di Parigi: “La riportiamò al museò, la Giocondà?”, “No, mettiamolà altrové. La và no plus. L'é demodé”.
Il famoso museo in piazza Duomo e di proprietà del Comune di Milano alla metà dell'anno 2022 ha cambiato la persona che ne è alla guida. E per fortuna che non si è fatta fotografare alla conferenza dello sponsor che paga i biglietti del suo museo durante l'Art Week: i cittadini meneghini avrebbero visto che anch'egli infatti è un uomo. Dopo le due “direttore”: Marina Pugliese e la successiva Anna Maria Montaldo, a quasi metà del secondo decennio di vita del museo, è arrivato un direttore uomo. E con cognome poco meneghino: Gianfranco Maraniello, classe 1971, nato a Napoli e, tra le tante info che compongono il cv, più che un figlio d'arte è un figlio d'artista: quello di Giuseppe Maraniello. Il cambio di direzione del museo meneghino non vede però reali variazioni di strategia circa l'attività del museo nel centro di Milano. Infatti, l'istituzione museale dovrebbe, condizionale, essere un museo che conserva l'arte del secolo scorso ma, in realtà, pare volontariamente volersi occupare di arte contemporanea del XXI secolo e altre materie poco inerenti con i valori arcaici del XX secolo. A pensare male si commette peccato, ma spesso si centra il bersaglio: forse c'entrano qualcosa le due tesi di laurea, precedenti al concorso pubblico indetto a fine dicembre 2014 e come ha avuto modo di verificare Mow, di una buona fetta di quel “deep state” che gestisce l'istituzione museale in piazza del Duomo. Ma tant'è: il Comune di Milano provvede comunque a informare i cittadini sulle copernicane attività nella seconda settimana d'aprile, in programma per l'Art Week: “Il Museo del Novecento dà avvio, dall'11 aprile, a Forum 900: la galleria al piano terra ospita opere d'arte contemporanea e sedute di design trasformando gli ampi spazi in luogo di confronti, dibattiti e presentazioni”. Al Nove-centro degli interessi sono dunque: “forum”, “sedute di design”, “dibattiti e presentazioni”.Ussignur. Ma forse, per i turisti che arrivano dai 4 angoli del globo in visita a Milano, proprio durante la primavera 2023, magari era possibile valorizzare ciò che già contiene il museo: l'arte dello scorso secolo nata qui a Milano. L'arte di inizio Novecento è un unico caso sul Pianeta e il museo meneghino possiede la più importante e imponente collezione del Futurismo e del movimento futurista in possesso dell'umanità intera. Ma chi in quel museo lavora, forse sognava di occuparsi nella vita di arte contemporanea e ritiene sia meglio mostrare alcune “sedute di design”, oppure chi decide le sorti di opere e mostre in quel museo, forse per il medesimo motivo, ha deciso che l'arte del secolo già concluso 23 anni fa è roba vecchia e demodé. Come il Quarto Stato: roba da boomer novecenteschi, meglio ospitare “opere d'arte contemporanea”, come scrive autografo il Comune di Milano. In realtà, chiunque ha nozioni basiche di Storia dell'Arte lette almeno in un minuto di consultazione su Wikipedia, ben comprende il valore economico che tale eccellenza italiana e meneghina sarebbe in grado di creare. Ce la invidiano tutti. Nonché un fatto documentato e certo è che a Milano abbondano proprio i musei d'arte privati di aziende private, che sono dedicati all'arte contemporanea. La città ne è piena: da quello stiloso di Armani, alla fondazione Prada, passando per le Gallerie d'Italia posizionate in faccia alla Scala e al Comune di Milano e che, essendo di proprietà di Banca Intesa, sono praticamente imparentate con la fidanzata del sindaco. Davvero sono tantissimi i musei privati d'arte contemporanea e le mostre inerenti a Milano, mentre di futurismo se ne vede ben poco. I visitatori internazionali della prossima Art Week che si recano al Museo del Novecento possono comunque sedersi su stilose sedie di design, che si spera abbiano almeno un titolo fico. Mow allega una proposta creativa, in stile rinascente e dannunziano, di naming in lingua italiana: I proci comodi. Chiama uno che lo sa fare! Anche Sgarbi si era espresso alcuni mesi fa su Mow, in merito ai grossolani errori di comunicazione e strategia ad opera del museo di Milano. Lo ha riferito a Mow a commento di una importante mostra, nata in collaborazione con il Mart di Trento e Rovereto, di cui Vittorio Sgarbi è Presidente. L'esposizione organizzata alcuni anni fa non aveva soddisfatto le aspettative, in termini soprattutto di resa economica e di affluenza da parte dei visitatori: “Se vuoi che vedano la Sarfatti devi scrivere «Arte e fascismo» e sotto mettere Sarfatti. È un problema di comunicazione, io non richiedevo un processo alla Sarfatti, dicevo che la mostra aveva avuto pochi visitatori perché nessuno sa chi è la Sarfatti”. Queste le parole del senatore e critico d'arte Vittorio Sgarbi, in un'esclusiva su MOW in cui aveva persino annunciato una maestosa mostra su: Fascismo e Comunismo. All'armi siam sgarbisti! L'Arte è infatti un'arma potente: penetra nel cervello per svelare ciò che l'occhio guarda, ma non vuole vedere. La fotografia che ritrae l'Assessore alla Cultura del Comune di Milano, Tommaso Sacchi, insieme ai rappresentati dello sponsor principale della Milano Art Week, è lampante: solo uomini seduti che parlano, le donne sono solo sulla locandina. Un'immagine: nuda e concreta, reale e attuale. Forse appare più onirica dell'Arte, però è cruda e schietta come la realtà milanese.