Il ponte sullo Stretto? Per Roma sarebbe strategico, per la Sicilia vitale e per l’Europa decisamente funzionale. Tutto bellissimo, sulla carta. L’opera che può connettere Reggio Calabria e Messina, congiungendo la Sicilia a quello che nell’isola è chiamato “il Continente” ha un valore economico e politico notevole. Addirittura d’interesse geostrategico e militare, secondo quanto il direttore di Limes Lucio Caracciolo ha sottolineato nel dicembre scorso. Per il Ponte passa la prospettiva di portare la Sicilia in Italia e in Europa, una volta per tutte. E c’è la possibilità di emancipare il controllo esogeno sulla Trinacria, oggi sostanziato dalla presenza di infrastrutture militari Usa, di un ceto politico in larga misura territorializzato e clientelare e dall’annoso problema del sottosviluppo economico e delle Mafie. Il nostro timore è in due parole. In quel “salvo intese” con cui il Consiglio dei ministri tre settimane fa ha approvato l’opera. Il ponte sullo Stretto è passato tra le mani di Giorgia Meloni venendole porto direttamente dal vicepremier e ministro delle infrastrutture, Matteo Salvini, come un grande spot. Il nuovo progetto approvato è quello del passato; il decreto non attiva nessun piano esecutivo; non si inserisce il piano per il Ponte sullo Stretto nella lista delle opere strategiche da finanziare coi fondi europei di coesione o, addirittura, con il Next Generation Eu. Che proprio sui trasporti ha, sul fronte del Pnrr nostrano, dato finora segno della massima vitalità
Il ponte spaventa l’Italia e l’Europa. Spaventa l’Italia, perché non sia mai che un’opera vitale per la connettività, i commerci e lo sviluppo di una delle sue piattaforme più importanti parta senza venire sommersa dalla solita ridda di pregiudizi e voci malevole. Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni hanno finora promosso un’agenda di ordinaria amministrazione, relegando il “patriottismo” alle questioni identitarie. Quasi per non voler sbagliare, quasi per non voler osare troppo. La Lega di Matteo Salvini è combattuta tra la spinta a un’azione di governo che vede il Carroccio protagonista su molti fronti e un vento del Nord che storce il naso di fronte alla faraonica opera.
Ma anche Bruxelles, nonostante le parole al miele della Commissione, si potrebbe sospettare pensi, in fin dei conti, che non discutere del ponte risparmierebbe una gran rogna. Sarebbe uno schiaffo per i trinarciuti funzionari belgi, olandesi, tedeschi e scandinavi dover ammettere che sì, messo nero su bianco il ponte sullo Stretto e il finanziamento europeo alle “cicale” italiane rientrerebbe nei progetti strategici. Il Corridioio Ten-T (Transeuropean Network of Transportation) Scandinavia-Mediterraneo va dalla Svezia e la Danimarca fino alla Sicilia. Implica necessariamente la presenza del Ponte che non c’è. Costringe l’Europa a guardare alla sponda Sud. A pensare l’Italia non solo come alla porta dei migranti o alla base del populismo, ma a un partner fondamentale.
Il ponte potrebbe avere per l’Italia la stessa immagine di simbolo di una nuova fase di sviluppo che ebbe nel 1964 l’Autostrada del Sole, inaugurata il giorno di San Francesco, patrono della nazione, il 4 ottobre alla presenza del presidente del Consiglio Aldo Moro. Apparirebbe come il simbolo di una nuova strategia di sviluppo e di un nuovo protagonismo italiano. Romperebbe i conformismi europei, peraltro senza la necessità di invocare come nemica l’Europa. A patto di agire. L’Italia per ora, proclami a parte, non l’ha fatto. Non c’è il progetto operativo. Non c’è l’inserimento del Ponte tra le opere da sottoporre all’approvazione europea. Non c’è la strategia per il bando, né alcuna dinamica che apra a un inizio rapido dei lavori. Non c’è stata alcuna comunicazione che a chi rischia di veder il proprio ambiente locale stravolto, tra Messina e Reggio Calabria, parli dei benefici collettivi. E tutto sommato va bene così a tutti.
Il crollo di un ponte, il Morandi di Genova, ha mostrato il problema della depressione infrastrutturale del Paese. La ricostruzione del San Giorgio ha mostrato quanto comunque la squadra Italia, nonostante tutto, ci sappia fare. La fine del miraggio del ponte sullo Stretto sarebbe la quadratura del cerchio. Troppo, forse, per chi sta combattendo contro grilli e anglicismi. Ma anche contro chi, con poco senso dell’ipocrisia, dall’opposizione accusa il governo di fare slogan. Senza avere una soluzione strategica e alternativa.
Il ponte è necessario perché senza di esso sarebbe monca la strategia di rilancio della Sicilia. Dal raddoppio della Palermo-Catania da 3,4 miliardi di euro ai nuovi collegamenti a Sud e tra Catania e Messina, c’è un’isola che sta ramificando i suoi collegamenti interni. E che ora va valorizzata come componente a tutto tondo del sistema economico e industriale italiano. Dalla raffineria di Priolo, passata da Lukoil a un consorzio israelo-cipriota, agli impianti di STMicroelectronics nell’Etna Valley, passando ai grandi progetti Enel per la transizione in Sicilia c’è un mondo vivo e dinamico che vuole rompere il senso di declino dell’isola. A inizio 2023 l’arresto di Matteo Messina Denaro ha chiuso l’era dei grandi padrini che hanno tartassato la Sicilia per decenni. Entro l’anno, una via chiara per lo sviluppo del Ponte sullo Stretto farebbe tenere tutto assieme e sperare per una nuova primavera per la Trinacria. Ma temiamo che possa essere una strategia troppo ambiziosa, soprattutto per l’Italia e l’Europa di oggi. Ancorate, oggi come ieri, a provincialismi e pregiudizi.