Fabio Di Giannantonio, nemmeno una settimana fa, accedeva per la prima volta in carriera al parco chiuso della MotoGP. In verità Fabio aveva già assaggiato il ring dei sogni nel 2022, dopo una pole position estemporanea sull’asfalto umido del Mugello. Fu un momento così sorprendente, talmente inaspettato, che Di Giannantonio non riuscì ad assaporarlo fino in fondo. Lo considerò al pari di una stella cadente in un cielo gonfio di nubi, consapevole che non bastassero un singolo desiderio e uno schiocco di dita per mettere fine ad un periodo che, in ogni caso, restava complicato. Scelse di sorridere, Fabio, ma non si illuse. Invece a Mandalika, dopo un quarto posto (primo tra i piloti dei team satellite), Di Giannantonio ha proprio pianto. Lacrime di orgoglio, di fatica, di sollievo. Il rischio era che il lavoro di oltre un anno e mezzo restasse incompiuto, che Fabio non riuscisse a dimostrare il proprio potenziale, che i dubbi della gente sul suo conto (“La MotoGP non fa per lui”) venissero confermati. L’Indonesia, per Fabio Di Giannantonio, è stata una liberazione.
Infatti oggi, a sei giorni di distanza, Fabio Di Giannantonio ha corso libero. Ha dato sfogo a tutto il suo talento tra i curvoni selvaggi di Phillip Island, senza commettere la più minima sbavatura. L’errore - di inesperienza o di foga - mentre ti ritrovi per la prima volta a lottare nelle prime posizioni del gruppone della MotoGP, a millimetri dai migliori piloti al mondo, sarebbe comprensibile. È capitato a tanti. Non a Fabio Di Giannantonio, che in Australia – tra i grandi – ha gareggiato da grande, alla pari, da veterano. Si è preso il primo podio in MotoGP scavalcando Jorge Martin all’ultimo giro, all’ingresso di Lucky Heights – un cambio di direzione da quarta marcia che si percorre ad oltre duecento orari – replicando il sorpasso subìto da Pecco Bagnaia in precedenza (“Pecco style”, dirà poi Fabio al numero 1 quando si ritroveranno per commentare le immagini salienti della gara). Oggi bastava un impercettibile istante di distrazione per danneggiare i contendenti al titolo, ma Fabio è stato perfetto. Pulito. Maturo.
“La mia è una crescita pulita”, afferma infatti Fabio in zona mista dopo la gara. Ottavo a Motegi sotto l’acqua, quarto nell’umidità indonesiana, terzo tra i venti che soffiano su Phillip Island. Sempre tra i primi, sempre in Q2 nei fine settimana asiatici e oceanici. No, quello di Di Giannantonio non è un semplice e frivolo exploit orientaleggiante. E allora lo ripetiamo: Se Fabio fosse un rookie, probabilmente, staremmo parlando di un pilota in rampa di lancio verso orizzonti beati. Invece ci troviamo ad incrociare le dita affinché uno come lui, sostituito in Gresini da un certo Marc Marquez, trovi una sella per il 2024. Ma Fabio Di Giannantonio va considerato esordiente, perché l’anno scorso – quello del debutto, in cui ha dovuto remare tra le difficoltà di una squadra senza esperienza in MotoGP – è stato praticamente inutile, per sua stessa ammissione. Osservi Fabio al parco chiuso, lì dove una settimana fa domandava “Dove devo andare? Aiutatemi, non sono abituato”, e non serve chissà quale sensibilità per capire che davanti ai tuoi occhi c’è un ragazzo di 25 anni in fase di realizzazione personale. Si diverte finalmente, ci sta prendendo gusto. “Il pilota di MotoGP è davvero ciò che voglio fare da grande, regà” – conferma lui. Vederlo così e pensare che tra due mesi, nella migliore delle ipotesi, dovrà ricominciare tutto da capo, stride. Fa male.
“Mo’ che me stavo a divertì me levano er giocattolo”, è la frase pronunciata dal diretto interessato nel retropodio, e riassume tutta la questione. Che poi la MotoGP, senza Fabio Di Giannantonio, perderebbe un personaggio di lusso, oltre che un giovane pilota di talento con ancora ampissimi margini per progredire. La romanità di “Diggia” controbilancia perfettamente quella di Franco Morbidelli, che è riflessiva, composta, autoironica, filosofica, da salotto quasi. Fabio, invece, ti spiattella in faccia la sua Roma di getto, con la reattività e la gestualità di un’esultanza all’Olimpico. Lui, con la Lupa sul casco, che prima di salire sul podio, rivolgendosi a Bagnaia e a Zarco, esclama con libido: “Oh, io sta gara me la riguardo cinquanta volte”. Fabio, che nel paddock di Phillip Island risponde alle pacche sulle spalle di Marquez con un “Oh, capo!” e, nel mentre, finge di mordersi le mani. Il gesto è inconfondibile: “Mortacci tua, Marc”. Nelle ultime ore, tuttavia - soprattutto dopo il podio di Phillip Island - sono salite le quotazioni che vorrebbero Di Giannantonio in Honda, a completare lo scambio con Marc Marquez.
È vero, troppo facile fare il tifo per Fabio di Giannantonio ora che i risultati arrivano. Tornano alla mente alcune dichiarazioni proprio di Franco Morbidelli, espresse un paio di mesi fa: “Delle volte quello che succede fuori dalla pista è più allettante di quello che succede in pista. Una cosa bella della Formula 1 è che riesce ad esaltare le battaglie dei top ma anche le battaglie che avvengono a metà classifica. Il nostro sport deve crescere sotto tanti punti di vista e un punto di vista secondo me è questo”. È una MotoGP che va di fretta più che mai, che non ha tempo di guardarsi alle spalle a dedicare attenzione a chi è più in difficoltà, a chi lavora sottotraccia. Se resti indietro, dovrai cavartela ed emergere da solo – in sostanza. Vorrebbe non fosse così, il pilota con i fiori sul casco. Nel paddock, evidentemente, si ragiona in modo diverso. Ma Fabio Di Giannantonio adesso è sbocciato. E non può essere troppo tardi.