Fabio Di Giannantonio ci ha messo un anno in più del previsto. Il previsto, in MotoGP, è zero: nessun tempo morto, niente quarto d’ora accademico. Il suo primo anno con la Ducati del Team Gresini è stato decisamente sotto le aspettative, specialmente considerando i risultati ottenuti da altri esordienti come Enea Bastianini (con la vecchia Ducati Avintia) o Marco Bezzecchi, subito a podio nella sua stagione da rookie. Fabio, oggi, ne parla dicendo di non aver imparato nulla, di essere cresciuto soltanto nel 2023. E chissà cosa dirà a fine stagione. Certo è che, a una prima occhiata, sembra quasi che a dargli la motivazione che serviva sia stato l’arrivo di Marc Marquez, venuto come una sentenza a prendere il suo posto nel Team Gresini. “Ragazzi, se arriva lui che ha vinto otto mondiali io ci posso fare?”, aveva raccontato ad Antonio Boselli su Sky prima del GP del Giappone. Una risposta deve averla trovata in viaggio verso l’Indonesia: puoi andare forte, renderti indispensabile a questa MotoGP. È tardi, ma non troppo. Così a Mandalika il romano dipinge un gran weekend, sempre in crescendo, il miglior risultato da quando corre in MotoGP: accesso diretto in Q2, 7° posto in qualifica, 6° posto il sabato, 4° la domenica. “Sono contentissimo, quasi orgoglioso forse”, racconta dopo essere entrato al Parc Fermé come miglior pilota indipendente. “Al primo giro mi sono trovato 15°, ho pensato al disastro. Invece mi sono concentrato, sapevo di avere un bel passo: linee giuste, il gas, il corpo. Cercavo di sentire me e la moto e ho preso un ritmo pazzesco, vedevo che arrivavo e passavo, arrivavo e passavo”. Gli brillano gli occhi e non c’è granché da dovergli chiedere.
“Non è facile ragazzi,”, è il suo commento sulle lacrime al parco chiuso. “Non è stata una vittoria, non è sicuramente un podio ma ho fatto un garone. È vero, mi serviva, è stato un momento un po’ mio, ma avevo sputato un bel po’ di sangue”. La verità che insegna la storia del Team Gresini è che ci devi credere, guardare alla vita con la giusta dose di misticismo, puntare in alto. Per Nadia Padovani prendere Marc Marquez non è mai stata un’opzione, è stato un sogno. E per Diggia stare lì in mezzo, tra i 22 piloti più veloci al mondo, non è mai stato qualcosa di diverso. Però devi aiutarti, farti una doccia di frasi motivazionali tutte le mattine e recitare il tuo mantra: se non ci credo io, nessuno lo farà per me. Fabio quando ha voglia di scherzare dice "aqui estamos", siamo qui, un modo per farti sapere che non sarà certo lui a tirarsi indietro.
Il sogno di oggi, per Diggia, è la squadra più vincente mai vista in MotoGP, la squadra di Marc Marquez. Perché da HRC per sostituire il loro fuoriclasse hanno cercato Maverick Viñales (che ha detto no) e Johann Zarco (che dovrebbe restare con Lucio Cecchinello). Restano Miguel Oliveira, il quale difficilmente riuscirà a stracciare il suo contratto con Aprilia RNF, e Iker Lecuona, che un quarto posto in MotoGP non l’ha mai portato a casa. Bisognerà aspettare qualche settimana, tempo di vedere i risultati di Australia (questo weekend) e Tailandia (il prossimo) poi la Honda prenderà la sua decisione. Di Giannantonio è lì con gli altri, con le sue armi, la sua velocità. Chi lo avrebbe detto fino al mese scorso? Honda, per i più maliziosi, ha già lasciato intendere che questa possibilità c’è.
Antonello Venditti, romano come Fabio, l’ha cantato meglio di tanti altri in uno dei classici che tiene sempre in scaletta: quando pensi che sia finita, è proprio allora che comincia la salita. Difficile, bellissimo. In Australia Fabio Di Giannantonio deve stare nei cinque, giocarsi il podio, puntare alla magia. Honda lo prenderebbe per un anno soltanto, magari per rimpiazzarlo alla prima occasione come è successo ad Alex Márquez, eppure non è questo il punto: essere lì dentro, confrontarsi con un campione del mondo come Joan Mir e correre per la casa più titolata della storia può diventare un nuovo inizio per Fabio. Lui davanti a questa storia deve solo crederci, superare i limiti di ieri e poi guardare dritto negli occhi Alberto Puig per dire la sua battuta: “Aqui estamos”.