Susie Wolff e Lewis Hamilton si conoscono da sempre. Dai tempi delle serie minori, dei kart, delle sfide in giro per il Regno Unito alla ricerca di un futuro nel motorsport, di un sogno condiviso. Qualche tempo fa, riordinando i cimeli di quegli anni ormai lontani, Susie ne ha ritrovato un pezzo, un angolo di quel mondo mai dimenticato: campionato di Formula Renault UK, undicesimo appuntamento stagionale. 2003, vent'anni fa. Lui aveva diciotto anni, lei ne aveva venti. Lui primo, lei terza in classifica. Suzanne Stoddart, per tutti Susie, una ragazzina bionda e vivace arrivata dalla Scozia, l'unica ragazza di tutto lo schieramento. Lewis Carl Davidson Hamilton, per tutti solo Lewis, un ragazzino di Stevenage, l'unico nero tra tutti i piloti presenti. Si assomigliavano, loro, gli unici. Ad assomigliarsi in realtà erano tutti gli altri aspitanti piloti: benestanti, bianchi, maschi, simili in un ambiente riservato a pochi. Ma a trovarsi, a vedersi uguali proprio perché diversi, erano loro due. Lei, l'unica ragazza, lui, l'unico ragazzo di colore.
Le loro strade si divisero di lì a poco, lui lanciato verso il mondo della Formula 1, lei destinata a far crescere il sogno di altre ragazze. A farli ritrovare un legame che negli anni si è trasformato in qualcosa di simile a una famiglia in un mondo spesso asettico come quello luccicante della massima serie del motorsport. Toto, il punto di connessione. Con Susie una storia d'amore che nel 2011 ha portato al matrimonio, con Lewis un rapporto di lavoro iniziato nel 2013, fatto di successi straordinari, di record, di delusioni da curare come ferite profonde.
Ma mentre le loro strade proseguono parallele, Susie Wolff e Lewis Hamilton continuano a guardarsi da lontano e a riconoscersi: loro che lì, fin da ragazzini, sono stati gli unici di qualcosa. Ed è proprio per questo che ad ogni richiesta di lei, ad ogni spinta alla sensibilizzazione per portare più ragazze nel mondo delle corse e sperare in una donna in Formula 1 nei prossimi anni, lui è sempre il primo a rispondere.
Lo ha fatto anche ad Austin dove, nell'ultimo round della prima stagione della F1 Academy, per la prima volta queste ragazze hanno a disposizione la visibilità della Formula 1 e la potenza mediatica della diretta televisiva, in un assaggio di quello che sarà il campionato del prossimo anno. Un lavoro duro capitanato da Susie per legare le ragazze ai team di Formula 1, per consentire loro di essere notate, spinte, viste e conosciute. Austin è la prima base, il resto arriverà con il tempo.
Hamilton risponde alla chiamata e, appena arrivato in circuito, va a conoscere le ragazze e a scambiare quattro chiacchiere con loro, dando consigli a tutte, chiedendo e rispondendo a ogni domanda. Condivide le loro storie, le loro vite, sul suo profilo Instagram da 35 milioni di followers, invita tutti a seguirle e a guardare la F1 Academy, puntando su un futuro della Formula 1 aperto a queste e a tante altre ragazze. Susie Wolff è felice ma, intervistata nel paddock, si lascia andare a una considerazione pungente: "È un po' triste che sia sempre Lewis. È sempre lui il primo a offrire supporto, ad avvicinarsi a questo tipo di cose. Lui sa che cosa vuol dire essere l'unico e per questo le capisce, ha un'affinità".
È sempre Lewis, perché lui sa cosa vuol dire essere l'unico. Una frase che spezza la retorica di un paddock unito in un'unica direzione, che mostra una considerazione diversa, un approccio statico. L'unico lui, come l'unica era lei. Ragazzi simili in un mondo in cui uguali erano gli altri, uniti ancora oggi dal voler cambiare le cose, in qualche modo, in qualsiasi modo. Vicini oggi come allora, sperando in un futuro che assomigli sempre meno a quel passato che hanno condiviso.