Valentino Rossi come non lo abbiamo mai visto e nemmeno immaginato. Ecco cosa ci regala Marco Ciriello con il suo Valentino Rossi, il tiranno gentile (66thand2nd). 46 (non è un caso) capitoli in cui ci inquadra il campionissimo di Tavullia attraverso punti di vista nuovi e suggestivi. Ad esempio: avevate mai pensato a Rossi come a un personaggio di Andrea Pazienza? E a Rossi come a un numero dispari? Ma non si parla solo di lui… Marquez e Lorenzo sono due brutte imitazioni e Biaggi poteva essere intrigante, ma ha scelto di interpretare un personaggio alla Alberto Sordi senza ironia e incapace di perdere. Il mondo di Rossi visto attraverso le lenti di Ciriello è un’allegra brigata di personaggi unici, tutti in cerca di una ragion d’essere che spesso trovano proprio in Rossi. Come amico, come nemico, come avversario. Che ne sarà di Rossi dal prossimo anno? Difficile a dirsi, ma l’importante - ci spiega lo scrittore e giornalista - è che non si banalizzi.
Partiamo dal titolo: chi è quel “tiranno gentile”?
Oggi se pensiamo a “Tiranno” ci viene in mente la Corea del Nord, ma io penso alla Grecia antica, il luogo dell’epica, dove il tiranno è il signore della città, colui che ha a che fare col popolo e coi suoi sentimenti. Ecco, pure Rossi ha a che fare coi sentimenti popolari. Mi piaceva giocare con la parola tiranno e con l’aggettivo gentile. Rossi se ci pensi è sempre allegro e sorridente, ma ha delle punte da tiranno, nell’accezione migliore, ma le ha.
Nel libro sostieni che Valentino sarebbe piaciuto a Pier Vittori Tondelli e Andrea Pazienza.
Rossi è un personaggio di Tondelli in “Altri libertini” ma è pure un personaggio di Pazienza. Sembra essere stato pensato da questi due grandi autori che in decadi diverse hanno raccontato la gioventù italiana. Poi se ci pensi il Rossi giovane e paesano sembra davvero vivere dentro un’avventura di Pazienza. Pensalo in moto insieme a Pertini.
Più che su una moto li vedo su un Ciao a progettare azioni di guerra…
Oppure su un sidecar… loro due capisci che stanno bene insieme. Valentino Rossi poi è stato disegnato da Manara, ma in realtà ha le curve e le linee di Pazienza.
Apri il libro con una frase di Rossi: «Io di solito le cose brutte le dimentico». Ad oggi qual è la cosa più brutta che è capitata in carriera a Rossi?
Senza dubbio la morte di Simoncelli. Dedico al SIC tanto spazio nel libro. Credo si percepisca che ero molto legato a lui… e che in lui nutrivo molte speranze.
Il libro è composto da 160 pagine divise in 46 capitoletti brevi. 46… un caso?
Non faccio mani nulla per caso. I miei libri hanno sempre una struttura cucita addosso e c’è sempre un ragionamento matematico dietro.
Che significa quel numero per Rossi?
Nasce per caso un po’ legato al papà un po' a una corsa che aveva visto. Fa una somma ed esce il 46, il numero della vita… ma come tutte le cose più importanti, quando le scegliamo non lo sappiamo che lo diventeranno. Lui decide con l’istinto quando si iscrive alla classe 125. Poi se ci pensi 4+6 fa dieci, numero a cui sono affezionato, il numero perfetto, quello di Maradona peccato che sia un numero pari, quando invece Valentino per me è un personaggio dispari e infatti ha vinto nove titoli mondiali e non dieci.
Che intendi per personaggio dispari?
Che non puoi farlo combaciare con altri, non c’è uno specchio, non ha un alter ego e come tutti i dispari è la somma di tante cose. È un Caravaggio, unico, non c’è nel mondo qualcosa di simile. Valentino è dispari ha una sua disparità. E tutti quelli arrivati dopo non gli somigliano per niente.
Non è uno spoiler – ci tengo a dirlo per chi non ha ancora letto il libro – ma chiudi il tuo lavoro lanciando una riflessione. Dici Ecco: il tempo del dominio è finito. Ma rimane il margine, e nel margine la vita, intesa come giro di pista e tempo. Le voci sul ritiro sono sempre più insistenti e ti chiedo cosa resterà di Rossi in quel margine che racconti tu.
Basta pensare che oggi Rossi arriva quindicesimo e i giornali sono costretti a raccontarlo. Di solito chi arriva dopo il terzo posto non ha titoli, lui invece sì. E questo la dice lunga sulla sua grandezza. Poi io non credo che abbandonerà lo sport, anzi ha già gettato le basi per il futuro: penso all’Accademy, penso all’accordo col principe saudita, alla possibile collaborazione con Ducati… porterà i suoi uomini e sé stesso nella Moto GP. Non scompare ma ci dovremo fare i conti a lungo. Vedi come è tiranno? Ci costringe per forza a fare i conti con lui, col suo percorso, lui che ha modificato il modo di stare in pista, di vincere con le sue scenette che non sono robette e te ne accorgi dopo, quando i Lorenzo e Marquez cercano goffamente di imitarlo. Potremmo riformulare Marx e dire: quando festeggiava Rossi la prima volta era in forma comica, la seconda volta era in forma di tragedia…
Ma secondo te a fine stagione lascerà?
Non lo so. Ora che sono stato costretto a fare i conti con la sua biografa e ho capito questa cosa kafkiana: lui correndo staccava la sua ferita, dimenticava correndo le cose brutte.
Magari continuerà a scovare talenti…
Sull’Appennino con l’Accademy fa crescere motocilisti, li alleva, questo non è comunque vincere o stare in pista? Forse anche di più. Sul podio non ci va più lui, ma la sua proiezione.
Nel libro dai tanto spazio alla rivalità con Max Biaggi, lo citi 80 volte… Che ricordi hai delle loro sfide?
Ne parlo tanto perché io sto sempre dalla parte di chi perde. Nella disputa del liceo tra Ettore e Achille io ero sempre dalla parte di Ettore… Ecco Biaggi dovrebbe essere Ettore, ma è scorretto, cattivo, è un Ettore che non sa accettare la sconfitta e allora diventa interessante proprio per questo. Ha appena compiuto 50 anni e infatti appartiene a quella generazione di italiani che non sa perdere nella politica, nel giornalismo, nello sport, nella cultura… quando invece la cosa più importante e vera di un campione è proprio il saper perdere. Biaggi ha una cattiveria albertosordiana che racconta tanto di un certo tipo di romanità e quindi di italianità. Nella narrazione giornalistica Biaggi era il cittadino e Rossi il provinciale, ma alla fine ha vinto il provinciale. Poi alla fine lo capisco pure: era destinato a vincere tutto, ma arriva un ragazzino e gli ruba la vita. E siamo dentro un film di Sergio Leone, solo che lui non è bello come De Niro in C’era una volta in America.
Diciamo che non deve essere stato facile. Vince tanto, tutto e poi con Rossi non vince più niente e torna a vincere in superbike… Se Rossi è una sua ossessione un po’ lo capisco...
Assolutamente poi se pensi che eredita la Honda di Rossi che però lo batte con la Yamaha… è lì che Biaggi sportivamente non esiste più. Per quanto sia comprensibile, purtroppo le sue reazioni e il suo modo di parlare non hanno epica e così diventa un personaggio grigio.
Da romano ti confesso che hai inquadrato bene un certo tipo di romanità, ma ti confesso pure che da ragazzino tramite amici di famiglia ero pieno di gadget e autografi di Biaggi. Qualche autografo pure di Valentino non mi sarebbe dispiaciuto…
Questo devi dirlo (ride ndr). Facci caso Biaggi rappresenta una sorta di bullo romano che poteva essere bellissimo, ma purtroppo è privo di ironia. Quello che frega Biaggi è la totale assenza di ironia. Mentre Rossi ne ha da vendere. Ti ricordi la pubblicità con De Sica in cui dice “Io tengo per Biaggi”?
Chiudiamo con un gioco: come ti immagini i prossimi 46 capitoli del tuo libro?
Spero che siano altri 46 capitoli interessanti. Gli auguro una da Marlon Brando, da spaccone. Spero che non finisca a presentare Sanremo, che non si banalizzi. In Italia questa cosa succede spesso. Io confido nella sua ironia che è la sua forza. Ecco, gli auguro 46 capitoli di ironia che è tra le forme più alte di intelligenza.