Ti dai una sportellata, uno dei due ci rimette più dell’altro, ci si insulta, poi ci si chiarisce e, alla fine, amici come prima. Nelle corse (2015 escluso) funziona così da sempre e molto spesso quelli che se ne sono date di più in pista, arrivando qualche volta pure alle mani, sono quelli che poi sono diventati più amici una volta appeso il casco al chiodo. Ci sta, quindi, che, dopo l’incidente della gara sprint, Luca Marini sia andato nel box Ducati per scusarsi con Enea Bastianini, di ritorno da una 24 ore in ospedale per la frattura della clavicola rimediata proprio in quello scontro.
Solo che nella realtà non sarebbe mai andata come ce l’hanno fatta vedere. E il brutto è proprio che ce l’abbiano fatto vedere. Perché anche un chiarimento, che magari senza il tiro di telecamera sarebbe stato tutto diverso, diventa finzione assoluta, mentre le ossa che si rompono e la pelle che i piloti rischiano ogni volta che mettono il sedere su quei missili lì non sono affatto finzione. “Non ho capito cosa sia successo, mi dispiace. Ho provato a entrare e poi ho perso la moto” – dice Marini a Bastianini, che dalla sua non può fare altro che uscirsene con la solita frase fatta: “Sono cose che succedono, l’importante è non ripetere gli stessi errori”. E’, di fatto, la stessa conclusione a cui sarebbero giunti parlandosi da soli, nella sacralità di un box che ormai, con le telecamere che possono entrare ovunque, è diventato palcoscenico, senza che i piloti possano esprimersi per come vogliono e con le parole che sentono. Perchè la verità è che quei due, se fossero stati soli, si sarebbero sì scusati e perdonati, ma avrebbero speso anche due parole sulla follia delle Sprint Race e di questa nuova formula che gli chiede di andarein pista con la vena più chiusa del solito.
Non significa che il Maro e la Bestia si sarebbero presi a cazzotti, perché non è certo questo il caso e perchè nessuno dei due è una testa particolarmente calda, ma la scena che ne è uscita è quella di due ragazzi che alla fine sono stati costretti (da Dorna, da Ducati, dall'imperante buonismo ostentato aogni costo e che ha oggettivamente rotto il ca**o?) a spettacolarizzare pure il perdono. E la spettacolarizzazione del perdono è sempre qualcosa di imperdonabile. Perché nasconde dietro una maschera l’essenza degli individui stessi, senza permettergli di esprimersi, con le parole e con i gesti, per quello che sentono davvero. Così, però, in una MotoGP che ha sempre più bisogno di personaggi, diventa ingiusto lamentarsi dell’appiattimento delle personalità. Perché sono proprio quelle telecamere che entrano ovunque a toglierci le personalità vere per sotistuirle – è umanamente inevitabile – con attori in piena regola. Attori che, però, il talento ce l’hanno per altre cose e quasi sempre sul polso destro, con il risultato di scenette che nemmeno ai tempi di Bim Bum Bam.