15 settembre 2001. Quattro giorni prima il mondo era cambiato per sempre. Le Torri Gemelle di New York non c’erano più e il nostro pianeta era diventato - improvvisamente - un posto meno sicuro. Ma bisognava andare avanti, non ci si poteva fermare per colpa della paura. La paura è dei deboli, di chi non reagisce. E sicuramente Alex Zanardi quel 15 settembre paura non ce l’aveva.
Alex Zanardi da Castel Maggiore, una breve carriera nella Formula 1 conclusa nel 99 e un futuro come pilota tutto da ricostruire. Il 2001 doveva essere per lui l’anno del riscatto, con il ritorno alla CART, la famosa Formula americana. Gli Stati Uniti, con il sogno di qualcosa di grande e l’incubo di una tragedia impossibile da scrollarsi di dosso. Ma Zanardi non aveva paura. Quel weekend si correva al Lausitzring - in Germania - e il team sembrava crescere di gara in gara dopo un inizio difficile.
Mica lo sapeva, Zanardi da Castel Maggiore, che il 15 settembre 2001 - 19 anni fa - anche la sua di vita sarebbe cambiata per sempre. Come quella dei newyorkesi quattro giorni prima, come quella di un mondo che riscopre il significato della paura.
E come in una storia degna di un film quel giorno iniziò benissimo: con Alex che, pur partendo 22esimo, superò tutti i suoi avversari e si potrò in prima posizione. Poi l’ultima sosta i box, la vettura impazzita, il testacoda, lo scontro inevitabile con la monoposto del canadese Alex Tagliani. La colpì perpendicolarmente, tranciando le gambe di Zanardi in quelle che ancora oggi sono immagini cariche di una drammaticità spaventosa. Chi lo vide in diretta non aveva dubbi: quel pilota italiano, bolognese, simpaticissimo, doveva essere morto.
È il motorsport, Alex lo ha sempre saputo, ma neanche quel 15 settembre 2001 gli mise paura. La morte di solito gioca a scacchi, no? Come quella nel Settimo sigillo. Qui la morte correva su una monoposto del Lausitzring, a inseguire un pilota imprendibile. Per rimetterlo in pista - nel senso letterale - dopo quel massacro ci vollero quindici operazioni, due tagli netti, quattro giorni di coma e un’estrema unzione finita male. Ci volle un lavoro folle, una forza di volontà fuori dal comune e la caparbietà di un supereroe.
Ma ce la fece, e quello che venne dopo lo conosciamo tutti. Il ritorno in macchina, le Paralimpiadi, le medaglie d’oro, e poi questo assurdo ingiusto 2020. La morte che non ci sta a perdere, che non è abituata a chi non ha paura.
Così, ieri come oggi - 19 anni dopo quella tragedia mancata al Lausitzring - la storia di Zanardi ci insegna tutto quello che un uomo può insegnare ad un altro: il potere del coraggio.