Non molla mai, Lewis Hamilton. Anche quando le telecamere della Formula 1 inquadrano altrove, concentrandosi sui drammi e i colpi di scena di una lotta mondiale che non lo riguarda, lui è lì. A conquistare un podio dietro l'altro, a spremere le possibilità della sua Mercedes fino all'ultima goccia, a lottare - anche se a distanza - con un giovane compagno di squadra a cui non vuol dare vita facile.
Lo fa dopo l'anno più traumatico della sua carriera, dopo un vicinissimo ottavo titolo, quello dei record assoluti più intoccabili, strappato dalle sue mani all'ultimo giro dell'ultima gara del campionato e consegnato al terribile avversario di un anno intero. Lo fa perché la vita a Lewis Hamilton ha insegnato a fare così: il mantra di chi è chiamato a rialzarsi sempre, come suggerisce l'enorme frase tatuata sulla schiena, Still I Rise, ancora mi rialzo. Ha imparato a farlo da bambino, minoranza per eccellenza in un mondo di privilegiati, e da lì non ha mai smesso. Giovane contro i grandi, e poi grande contro i giovani. Lo ha fatto quando l'outsider era lui, mina vagante in una Formula 1 che lo ha accolto straniero, difficile da capire e amare in un mare di piloti fatti di un'altra pasta, e quando poi gli outsider sono diventati gli altri, uno alla volta, tutti gli avversari che ha battuto o che hanno cercato di batterlo.
E proprio quando le cose sembrano precipitare, in un anno che dopo quasi un decennio smette di averlo come protagonista, Lewis resta l'unica costante di una Formula 1 che continua a cambiare. Una categoria rinata, un successo fuori da ogni scala, una nuova generazione di piloti pronti a prendere prepotentemente il posto di chi, prima di loro, ha fatto la storia di questo sport. 300 Gran Premi, sono la misura di Lewis Hamilton. Una cifra tonta, enorme, che protegge come un mantello il successo di un campione dal tempo che passa per tutti, ma non per lui.
300 Gran Premi festeggiati al Paul Ricard con un secondo posto di sofferenza, conquistato senza poter bere - a causa di un problema tecnico alla sua Mercedes - sotto il sole di fine luglio. 3 chili di fatica, quelli persi dal britannico nelle quasi due ore di gara, che di quei 37 anni che si porta sulle spalle non sa che farsene. Si sdraia a riprendere fiato ed energie prima di salire sul podio del Paul Ricard in una scena che fa sorridere tutti, avversari compresi. Primo, grande rivale del 2021, un Max Verstappen sempre più grande. Terzo, alle sue spalle, quel compagno di squadra che vorrebbe togliergli il trono. Gli piace, George Russell. Lewis lo ha detto più volte. Gli piace il suo talento, quella gentilezza tutta inglese, e lo vorrebbe vedere campione del mondo, un giorno o l'altro. Ma gli piace come gli piacciono gli avversari tosti, quelli che rispetti ma che comunque, carnivoro come sei, vuoi sempre e solo battere. I rumors dal paddock dicono che con George, Lewis non condivida i dati del box: ognuno fa il suo, com'è giusto che sia. Altro che mentore, altro che papà.
Lo guarda dal basso verso l'alto, sdraiato a terra, così come guarda Max Verstappen, avversario durissimo e talento immenso di una nuova generazione. Piloti giovani, con tutto da dimostrare, a cui Lewis sembra però assomigliare ancora. Lotta come contro l'età che avanza e un peso che ogni anno si fa sentire di più, ma non molla di un centimetro. Quando la macchina glielo permette, lui c'è, anche a 300 Gran Premi dal suo primo giorno di scuola in Formula 1. E non importa se per riprendere fiato oggi sia costretto al doppio della farica di un tempo, non importa perché la tenacia di Hamilton è un insegnamento e un avvertimento per tutti i giovani della griglia. Attenti ragazzini, perché il re è ancora qui.