L'abbraccio con papà Anthonie, e le lacrime di un uomo a cui Lewis deve il successo di una vita intera. C'è tutta la storia di Hamilton, in quel momento solo loro. C'è la sua fame di vittorie, che oggi sembra più forte che mai, nonostante il dominio assoluto che lo ha reso il più grande della sua generazione. C'è una storia fatta di crescita, di sacrificio, di delusioni, di sconfitte.
Un ragazzo precoce, fortissimo, che ha dovuto imparare subito a perdere per imparare a vincere. La prima volta con Alonso compagno di squadra, come se il debutto da rookie non fosse abbastanza duro, e poi ancora mille e mille volte. Quelle a cui noi oggi non pensiamo, oggi che lo vediamo vincere domenica dopo domenica e che lo guardiamo raccogliere la corona delle sue 92 vittorie.
Novantadue. Un numero che non è di nessun altro, è solo suo. Ne vincerà ancora, chissà quante, e chissà quali saranno i numeri che lascerà agli eredi della Formula 1 di domani - così come fatto da Schumacher con quei 91 successi che sembravano, fino a pochi anni fa, imbattibili.
E se in Germania, a casa di Michael, vedere Lewis raggiungere quel traguardo significava - fondamentalmente - fare un confronto con lo stesso numero raggiunto dal Kaiser, oggi no. Oggi Schumacher non c'entra niente, oggi - in una Portimao in cui Hamilton è l'unico vincitore - si parla solo di lui.
Lui che è partito dal niente e che ha raggiunto tutto. Lui di cui tutti dicevano "non ha la testa" e oggi dicono "il suo punto forte è la testa", lui che ha dovuto imparare a lottare da solo per avere quello che oggi gli viene invidiato. Il talento, la velocità, i record e - perché no - anche quella macchina perfetta che chiunque vorrebbe guidare. Perché quando ci è salito per la prima volta, sulla sua Mercedes, mica Lewis lo sapeva che sarebbe diventata quello che è. Avrebbe potuto fare altre scelte, avrebbe potuto diventare un Hamilton diverso.
Invece oggi, nel giorno delle sue 92 vittorie in Formula 1, Lewis è questo. Un pilota che ha appena riscritto la storia del suo sport con un numero nuovo e un uomo che si è costruito il suo impero con le fatiche di un bambino arrivato da lontano.
Ogni tanto sembra che se le porti ancora addosso, quelle fatiche, così impegnato a cercare di compiacere gli altri, a dire sempre che i tifosi sono i migliori, che il gioco di squadra è tutto, che vuole bene a chiunque, suoi avversari compresi. C'è ancora un po' del Lewis bambino lì, in quelle 92 vittorie e in quell'abbraccio riconciliante con un papà che a un certo punto della sua carriera aveva rifiutato.
Ma chiunque sia, il Lewis sotto al casco, oggi è il suo giorno più bello. Quello in cui il suo numero non assomiglia più a quello di nessun altro.
Se siete arrivati fino a qui seguiteci anche su Facebook e su Instagram