La MotoGP degli ultimi anni si è trasformata in maniera netta, soprattutto con aerodinamica e abbassatori, in un processo che si fermerà soltanto con l’introduzione del nuovo regolamento previsto per il 2027. Eppure, al netto di quello che può pensare la gente, le corse in moto si basano ancora su due solidi pilastri: il pilota e il motore. In entrambi i casi la MotoGP pretende risultati estremi, valori che non esistono nel mondo reale. Quanto? Siamo stati nel Reparto Corse Aprilia e lo abbiamo chiesto agli uomini che ci lavorano, vedendo da vicino come vengono costruiti e testati i motori MotoGP, piccoli mostri della tecnica che, come noto da qualche stagione, accarezzano i 20.000 giri al minuto sputando fuori quasi 300 CV. Con noi, oltre ad Antonio Boselli che ha organizzato una serie di visite in esclusiva per MOW, ci sono Walter Scattolin e Nicola Biliato. Più che i numeri, a colpire è la sofisticazione offerta dai macchinari con cui vengono provati i motori. E il fatto che, passando in corridoio, chi lavora all’interno del reparto sa riconoscere perfettamente lo stile di guida di uno o dell’altro pilota ad orecchio. Per essere chiari: siamo in quella che si chiama sala prova, il telefono va messo in tasca. Niente foto, perché è tutto estremamente riservato. Anzi, fosse per loro in alcuni angoli della stanza - per esempio sui monitor con i dati - non dovremmo neanche guardare. “Qui facciamo la sperimentazione motore”, spiega Nicola Biliato, che con Walter Scattolin (in apertura) gestisce questa ala dello sviluppo.
Davanti a noi c’è una stanza con un banco prova estremamente raffinato su cui, come un trofeo, è fissato un V4 da competizione. La sala ha un’ampia vetrata da cui controllare i movimenti del motore circondato da ventole e strumenti, mentre con pulsantiere e joystick si gestiscono i diversi parametri del banco. Sembra un film. Nicola racconta la sala parlando svelto: “Qui è dove vengono deliberati i motori che andranno in pista, vengono validati prima di arrivare ai piloti sia per quanto riguarda l’affidabilità - con il corretto montaggio del motore - che la prestazione, la quale deve essere in linea con le attese. Assieme a questo qui viene fatta tutta la messa a punto della componentistica, quindi per dirne una la pompa benzina, gli iniettori, la variazione degli airbox, le valvole di scarico… tutti i componenti che servono a far funzionare il motore. Per finire, qui c’è tutta la parte relativa allo sviluppo”.
Questa è una stanza, ma a giudicare dal lungo corridoio qui fuori ne avete diverse.
“Abbiamo diversi tipi di celle, ovvero di sale prova. Ce ne sono di statiche, dinamiche e full dynamic, il che vuol dire che replicano anche le strategie come l’anti impennamento, l’anti jerk, il freno motore e il traction control, mentre alcune celle riproducano semplicemente il comportamento del motore in termini di pressione massima e di alimentazione, per cui permettono di valutare la prestazione senza le strategie (strategie che, volgarmente, siamo abituati a definire ‘l’elettronica’, ndr). Oltre a questo ci sono banchi che permettono di provare componenti singoli, per esempio solo la testa o alcune parti del motore, e banchi statici per fare delle comparative che noi chiamiamo back-to-back, per giudicare quale configurazione del motore offre il risultato migliore. Assieme a questo facciamo una serie di test di endurance, in cui il motore viene testato con una serie di circuiti in sequenza così come le varie condizioni”.
Per esempio?
“Se c’è la scia o meno, se fa caldo, freddo, umido. Questo per fare in modo che il motore sia in grado di sopportare il massimo regime di rotazione nelle condizioni reali. Una parte delle sale prove lavorano per i motori che vengono utilizzati nel corso dell’anno, un’altra parte invece è concentrata su progetti che andranno in pista tra uno o due anni, perché ovviamente i motori hanno dei tempi di delibera dei componenti molto lunghi, quindi si lavora in prospettive molto lunghe”.
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Quindi in questa stanza riportate la telemetria al banco e fate girare il motore come se fosse in pista?
“Esatto. Ora siamo davanti a un banco full dynamic, in grado di riprodurre la motocicletta in tutto e per tutto. E ora vedremo un giro di pista completo, che normalmente utilizziamo sia per deliberare i motori che andranno in pista che per i test di endurance in cui il motore - per dirla in maniera semplice - pensa di essere in moto Per buona parte del tempo questi banchi vengono usati per replicare esattamente i giri di pista fatti da determinati piloti, che hanno stili di guida molto diversi e un utilizzo del motore differente tra loro, quindi vengono alternati un po’ i giri dell’uno o dell’altro. Per esempio un giro di Silverstone di Vinales è molto più critico rispetto a quello di Espargarò, dunque se c’è da lavorare su Silverstone è più facile che finiremo per usare il giro di Maverick come esempio”.
Dopo tutte queste spiegazioni sembrerà banale, eppure la domanda numero uno è sempre la stessa: quanta potenza hanno questi motori? E vero che siamo tra i 270 e i 300 cavalli? E la zona rossa del contagiri?
“Eh si, diciamo che le cifre più o meno sono quelle, poco meno di 300. Per quanto riguarda i regimi di rotazione siamo molto alti, diciamo attorno ai 19.000 giri al minuto. Però è un numero che vuol dire tutto e niente: se uno volesse arrivare a più di ventimila giri potrebbe farlo, il nostro problema è che con questi motori dobbiamo fare un certo numero di chilometri. E a quel regime il pilota ci può arrivare in maniere diverse, in accelerazione o in frenata, per una sfollata, perché si arrabbia e tira la frizione… è come la velocità, è molto relativa”.
Sono numeri comunque molto lontani da quelli prodotti dalle moto stradali.
“Ah si, siamo su numeri che in Formula 1 non si vedono più e che sugli aspirati di serie nemmeno. Viaggiamo in condizioni di sviluppo motore estremamente spinte considerando che sono propulsori da moto a cui è richiesto di viaggiare da quattromila giri fino a questi livelli. Rispetto a un motore da Formula 1 l’utilizzo è estremamente diverso, perché noi abbiamo bisogno di un motore docile in basso e che performa in alto”.
Qui lavorate anche con tutte le strategie elettroniche?
“Assolutamente. Questo banco addirittura - anche se non viene utilizzato sempre - permette di avere anche un modello moto, quindi ci può essere un sistema per fare anche simulazioni del genere, con lo stress del pilota in sella. Però mentre i piloti di Formula 1 sono più o meno tutti uguali qui la differenza è gigantesca: passando in corridoio ti accorgi subito se il giro simulato è quello di Vinales o se invece si tratta di Espargarò. Hanno dei modi veramente diversi di guidare”.
Quindi da come uno cambia, frena e accelera li riconoscete?
“Assolutamente. Anche da come usano il gas e da come sfruttano il freno motore. Aleix scala meno violentemente, arriva meno al limitatore, è più morbido. Maverick la fa gridare”.
A questo punto ci prepariamo alla simulazione: la stanza del banco prova viene sigillata, ci mettiamo fuori dove un tecnico carica nel sistema la telemetria di Maverick Vinales a Sepang. Accende il motore e comincia a scaldarlo esattamente come viene fatto in pista, solo che invece delle manate di gas del meccanico qui c’è un pulsante che tiene il regime di rotazione al minimo. Anche se si tratta di una procedura estremamente collaudata c’è una certa tensione nell’aria, d’altronde è pur sempre uno straordinario gioiello nel suo momento di massima espressione. Quando parte il giro è come una canzone, c’è tecnica ed estro assieme. A sentirlo dalla televisione è diverso perché in quel momento vedi la moto, il pilota in piega, il circuito. Così, concentrandoti soltanto sul suono, hai modo di capire meglio il processo, il talento e l’intenzione di chi quel giro l’ha pensato e interpretato così. È vero che confonderne due all’ascolto sarebbe impossibile. Siamo sul rettilineo posteriore di Sepang quando Nicola cerca di sovrastare l’urlo del motore: “È talmente tirato che se uno di questi ventilatori si fermasse finiremmo in condizioni di utilizzo improprie e lui potrebbe cedere”.
Finito il giro torniamo alla sede centrale, perché le sale prova vengono eseguite in uno stabile costruito per pompare aria a 370 Km/h nell’airbox. All’ingresso, Walter Scattolin si mette a parlare di quei motori lì, quelli che a grandi idee hanno fatto la storia per vent’anni. Parla soprattutto della RS Cube, quel figlio sbagliato a cui tutti, però, si erano innamorati, merito del tre cilindri costituito in collaborazione con Cosworth e dell’utilizzo avveniristico del ride by wire. Walter staresti ad ascoltarlo per ore perché traduce la tecnica, è un Alessandro Barbero dell’ingegneria: cose difficili diventano semplici e lui te le spiega volentieri. E poi racconta, divaga, si perde nei ricordi di una vita fatta di intuizioni e ricerche, regalando di tanto in tanto piccoli retroscena sulle corse che potrebbero stare in un museo dell’aneddotica del motorspot. Un museo che nessuno ha ancora inventato e che, senza dubbio, l’Aprilia potrebbe riempire in un attimo.