L’invito di Antonio Boselli sembra arrivare da un’altra epoca: una giornata a Noale per conoscere il Reparto Corse Aprilia. Da quest’anno è Responsabile Comunicazione Motorsport di Piaggio e vuole spingere da subito, fare casino. D’altronde è l’unico addetto stampa del motomondiale a invitare i giornalisti nel box dopo una vittoria, nello specifico quella di Maverick Vinales in Texas. La proposta di Boselli: niente social, video, interviste istituzionali, tour guidati con la cartella stampa in mano. Niente cappellino in omaggio a fine giornata. Già è un sollievo questo, anche se tutta l’attrattiva sta nel fatto che ci sta proponendo un’esperienza unica perché solo per noi, solo per MOW. Così dentro il Reparto Corse di Aprilia abbiamo visto tutto: gli uffici di chi progetta, quelli di chi analizza e pianifica, i componenti sperimentali, le nuove idee, gli scambi continui tra le persone che lavorano nelle corse.
Tra un corridoio e l’altro c’è quell’aria magica che arriva fino alle officine di una volta, con quei motori fatti per farti godere forte della velocità. Il sistema che c’è all’interno dell’azienda è artigianale, maniacale, micidiale. Tutto preciso al millimetro. Il reparto corse si riassume in un centinaio di persone che si svegliano la mattina pensando alle corse, a come fare meglio, di più. Come fregare gli altri anche, perché altrove pensano esattamente la stessa cosa. La benzina che li muove è il fatto che nessuna buona idea verrà lasciata cadere nel vuoto: se hai l’intuizione giusta, di qualunque cosa si tratti, una squadra lavorerà per darle vita. Per un appassionato guardare una gara di MotoGP è come immergersi nell’oceano e osservare l’occhio di una balena: enorme, diverso da tutto il resto, affascinante e pure un po’ spaventoso. Ecco, tu guardi l’occhio per il tempo che basta ma poi c’è la balena, così grande da diventare invisibile. Quello è il Reparto Corse.
La sede Aprilia è a 15 minuti a piedi dalla stazione di Noale - Scorzé, due ore e mezza da Milano e mezz’ora da Venezia. Fuori, su sfondo rosso, con quel carattere che è un marchio e lettere metalliche, la scritta Aprilia. Quando la vedi, quella scritta, pensi al fatto che nella vita di una generazione c’è sempre stata: le piccole RS due tempi e l’SR 50 sono tra i principali motivi di promozioni scolastiche insperate, stagioni a servire ai tavoli nonché, per qualcuno, la spiegazione a un’esistenza che a quindici anni può non avere senso, se non quello di lavorare sulla carburazione in garage. Per altri questa roba è più la Tuareg, la Pegaso, oppure la Tuono e la RSV Mille, la RSV4. Una scarica di icone. E poi finisci per pensare al fatto che è la stessa Aprilia regina del motomondiale a due tempi e della Superbike a quattro, dalle idee di Jan Witteween a di quelle di Gigi Dall’Igna. La stessa Aprilia che oggi corre in MotoGP con l’unico obiettivo di vincere sul serio, per poi ripetersi il più a lungo possibile.
Alla guardiola ci porgono un pass. Victoria Ortega Cabrera, addetta stampa per Aprilia in MotoGP, ci viene incontro accompagnandoci all’ingresso dell’edificio che costituisce parte del reparto corse. L’entrata è spettacolare, con una infilata di moto da gara prodotte tra queste mura nel corso degli anni. Saliamo una rampa di scale, in cima c’è Antonio Boselli che ci porta a colloquio con Marco De Luca, Responsabile Veicolo per la MotoGP. Viene dall’automobile, ha lavorato in Ferrari, in McLaren e nelle corse con Mercedes. È in Aprilia da luglio 2019. Ha una voce profonda e calma alla Alessandro Orlando, al polso un bel cronografo meccanico e, probabilmente, una risposta giusta, razionale e a prova di equazione per qualunque domanda. Lo torturiamo per quasi mezz’ora, lui con una gentilezza d’altri tempi risponde a tutto sacrificando i minuti di una riunione importante. Marco non lo dice direttamente, eppure la cosa che l’ha colpito di più rispetto al mondo dell’auto quando ha cominciato a lavorare in MotoGP è la questione del feeling. Questa roba di cui parlano tutti e che nessuno ha ancora capito troppo bene come definire. Scopriremo più tardi che non è l’unico a pensarla così.
Antonio ci fa fare un giro in un grande open space stipato di ingegneri. Una sala gigantesca con decine di scrivanie, gente che lavora al computer a pezzi di moto, ricerche, idee. Sembra un film sulla Silicon Valley, solo che qui è tutto italiano: scrivanie normali e computer normali, ma a gestire tutto gente eccezionale c’è un uomo che lavora con delle centraline MotoGP, un altro che sta controllando un file in cui ci sono scritti tutti i commenti del pilota sull’ultimo weekend e le possibili modifiche per andargli incontro. C’è una matematica, Elena De Cia, che sta mettendo a punto le strategie elettroniche per la prossima gara. A colpire è il fatto che ognuno è responsabile pressoché assoluto della sua cosa. Tutti si fidano degli altri perché sanno di lavorare con gente estremamente capace a un progetto che, nel suo campo, vuole essere la miglior cosa che esista.
Finito il giro passiamo al piano di sotto, quello in cui buona parte dei componenti di una MotoGP vengono effettivamente costruiti, l’Area 51 di Aprilia. Boselli ci racconta che fino all’anno scorso la sera prima di una diretta sentiva la tensione e faticava a dormire, mentre ora - lavorando con Aprilia - è tutto più gestibile. Quello che è assolutamente incontrollabile, aggiunge poi, è la gara. Il podio di Aleix, quello di Maverick, il problema in Portogallo: dice che è roba che ti fa scoppiare il cuore, che non riesci a preventivare nemmeno dopo anni passati nei box a raccontare queste storie. Quando Antonio si riferisce ad Aprilia lo fa sempre al plurale: è un “noi” che restituisce un po’ la misura di come si stia trovando a fare questo mestiere.
Siamo in una zona del Reparto Corse composta da un lunghissimo corridoio. Ai lati, un gran numero di spazi che possono essere una volta garage, un’altra uffici, un’altra ancora laboratori. Qui, anche più di prima, avverti quello di cui tutti, continuamente, si riempiono la bocca: l’heritage. C’è la carena che fu di Marco Simoncelli in 250, quella di Max Biaggi in Superbike, motori in vetrina che potrebbero far volare senza problemi un piccolo aeroplano. Un meccanico ci dice che la pedana della MotoGP di oggi è la stessa delle 2T di vent’anni fa: “Ha sempre funzionato perfettamente, quindi perché cambiarla?”.
Girando per le diverse stanze troviamo Cristina Toteri, una ragazza tutta sorridente sui trent’anni che sta saldando i serbatoi che verranno impiegati sulla MotoGP. Ce ne mostra tre: questo è per la qualifica, questo per la sprint, quest’altro per la gara. Si occupa anche dei telai e fa, inutile dirlo, un lavoro bellissimo, commovente. È la donna che ogni motociclista vorrebbe al suo fianco. Le chiediamo se gli amici provano mai a farle saldare qualche scarico o altri pezzi della moto, lei racconta di aver evitato categoricamente di portarsi a casa una saldatrice per non avere la fila fuori di casa. I pezzi che costruisce sono eccezionali. Anche lei chiaramente guarda le gare, rimanendo appesa alla televisione con l’idea che quella moto lì, una costosissima macchina infernale, l’ha fatta un po’ anche lei. Cominciamo a capire cosa significhi quando dopo una bella gara i responsabili ringrazino “I ragazzi a casa che hanno fatto un lavoro eccezionale”. Cristina è di questi.
Mentre Antonio fa una telefonata parliamo con Victoria, la press officer: trent’anni, spagnola, da otto anni a Milano. È nata a una dozzina di chilometri dal Circuito di Jerez e ha capito in fretta che di moto voleva vivere quindi eccola qui. Anche per lei essere nel Reparto Corse di Aprilia è un’emozione. Dice che la parte in cui collaudano i motori è di gran lunga la più gustosa.
Succede che tra una cosa e l’altra finiamo in uno di questi box e, senza grossi preamboli, eccole. Le MotoGP. Nude, senza carene, senza nulla. Un agglomerato di materiali preziosi, cablaggi, sensori, sistemi. Qui l’obiettivo è ridurre l’ingombro e risparmiare qualche grammo per aggiungere tecnologia. È così compressa questa moto che sembra sul punto di scoppiare. Ed è bellissima, sembra un drago in fibra di carbonio, un mostro venuto dal futuro per insegnarci la velocità. Dicono che rispetto a una MotoGP giapponese qui c’è il doppio della roba, infatti meccanici e ingegneri che lavorano per Honda e Yamaha lasciano il circuito almeno un paio d’ore prima degli europei, i quali invece devono smontare e rimontare mezzi decisamente più sofisticati. Ne parliamo a lungo con il ragazzo che gestisce il test team, Marco De Lazzari, in partenza per Jerez con Lorenzo Savadori. Se prima abbiamo capito cosa significhi gestire un gruppo di ingegneri in MotoGP, adesso ci è appena stato spiegato cosa succede davvero durante le spedizioni di un test team. La regola: se il pezzo non funziona perfettamente non proporlo al pilota ufficiale.
Un’ora più tardi siamo nell’ufficio di Massimo Rivola a parlare di cose che, ci dirà poco dopo con la tranquillità di chi non scherza per niente, non dovranno mai uscire da quella porta. Rivola è un personaggio clamoroso, enorme. Il suo ufficio ha due scrivanie, una moto e, su di uno scaffale in fondo, il casco che usa quando va a girare in pista. Da lì passiamo all’ufficio di Romano Albesiano: pulito, scuro, quasi freddo. Albesiano in foto ha un che di Alan Rickman, dal vivo sembra quasi che abbia scelto di lavorare coi motori dopo essersi stufato degli spot di Acqua di Giò. Oggi Romano Albesiano è Direttore Tecnico di Aprilia in MotoGP e, tra le altre cose, parla anche lui di feeling. Mentre stiamo chiacchierando lo chiamano, lui si scusa e in una breve telefonata ci fa capire il motivo per cui a Portimão si è rotto il cambio. C’è un dialogo costante tra i componenti della squadra che fa veramente impressione. È come, senza esagerare, se fossero tutti innamorati, come se tutti facessero parte di un unico grande organismo collegato a una coscienza sola. Guardano tutti la stessa cosa da angolature diverse e ognuno racconta agli altri quello che riesce a scorgere.
Chiuso il discorso con Albesiano passiamo in un secondo stabile, quello in cui vengono testati i motori al banco per la MotoGP. Lì incontriamo Walter Scattolin, per l’appunto Responsabile Motore di Aprilia Racing. Anche in questo caso, il livello di sofisticazione è spaventoso. Il V4 della RS-GP viene fatto girare simulando il più possibile un contesto reale: c’è l’aria laterale, l’airbox in pressione e, soprattutto, al motore viene fatto replicare un giro preso dalla telemetria in pista. Così abbiamo sentito un passaggio di Maverick Vinales a Sepang: ti accorgi quando fa lo shortshift per avere una risposta più dolce dal gas, senti come scala. Dagli indicatori sul monitor notiamo che sono un numero spropositato di cavalli a regimi di rotazione simili a quelli di un V10 Ferrari da Formula 1, quella che guidava Schumacher per intenderci, numeri impressionanti per un propulsore moderno. Anche perché, spiega Walter, volendo si potrebbe anche ottenere di più: più potenza, più rotazioni, più tutto. Il motore però durerebbe meno. È buffo, poi, che i ragazzi riescano a riconoscere in un attimo il pilota e il circuito anche dalla macchinetta del caffé: “Maverick è più violento quando cambia e tiene il motore altissimo, Aleix è più morbido”, è la risposta a quali siano le principali differenze tra i due. Roba che dalla televisione o dal circuito non percepisci e che invece, una volta notata a orecchio, diventa impossibile da ignorare.
Per ultimo ci aspetta Stefano Romeo, Responsabile dell’elettronica in MotoGP. Un altro che arriva dalla Ferrari, un altro - come chiunque con un badge all’interno di questa enorme struttura - che vive con la velocità in testa. Stefano ci spiega i controlli elettronici, le strategie, i pulsanti. Anche lui si è arreso all’idea che i piloti della MotoGP, più di ogni altra cosa, cerchino il feeling.
Prima di andare via Antonio si ferma un momento: “Erano incasinatissimi, eppure tutti ci tenevano a mostrare come funzionano le cose qui”. A dire la verità ci tenevano anche a vedere Vera Spadini al posto nostro - così ci è stato detto - ma devono essersi rassegnati in fretta. Per molte di queste persone far vedere davvero quanto sia profondo, raffinato e in un certo senso importante il loro mestiere è una soddisfazione bella ma rara: non tutti possono capirlo e chi può farlo difficilmente ha la capacità di vederlo.
In una giornata abbiamo visto come si disegna un componente, come lo si costruisce e pure come lo si monta. Abbiamo visto come queste persone passano le settimane tra una gara e l’altra, ovvero lavorando ossessivamente su tutto quello che è successo prima e che succederà poi. Se quello di Maverick Vinales sembra l’inizio di qualcosa più che un risultato sporadico è proprio per via di queste persone, per il gruppo che lavora al sogno. Il senso d’appartenenza - e senza esagerare anche l’orgoglio - che provano queste persone sono sentimenti che si trasmettono da un essere umano all’altro, non bastano i soldi di uno stipendio. L’amore non lo puoi comprare. Eppure per fare le cose meglio di tutti gli altri ti serve anche quello, un amore che in Aprilia Racing senti uscire dai muri, dalle moto storiche, dai vecchi progetti, dai prototipi e dalle scrivanie. È l’amore per le corse, bellezza. Niente di meno.