Siamo entrati nel Reparto Corse di Aprilia per vedere le moto, conoscere le persone e riempire di domande chi qui dentro ci ha messo la vita. Un reportage (che trovate qui) non era abbastanza, c’era molto di più. Questa, per esempio, c’è l’intervista con Marco De Luca, Responsabile del Veicolo di Aprilia Racing. Ci chiudiamo in un ufficio, lui è subito molto gentile. Tiene i primi due bottoni della camicia slacciati, le maniche arrotolate a metà avambraccio, un bel cronografo meccanico al polso sinistro. A vederlo al bar diresti che fa il pilota d’aereo o il comandante di qualche nave turistica. Preparatissimo, simpatico anche, specialmente per quell’ironia che viene fuori tra le pause che mette tra parole scandite con cura e qualche sottinteso. Marco De Luca è un uomo capace di produrre risposte puntuali, precise, per altro perfette per chi si occupa di aziende, di denaro e di personale. La cosa straordinaria è che spesso la risposta che ti offre è diversa quella che ti aspetteresti di sentire. Così, regredendo pericolosamente all’età infantile, gli abbiamo chiesto di tutto: come ragionano i piloti, come far correre una moto, come la vorrebbe. Come vorrebbe la gente attorno a sé e cosa manca all’Aprilia per arrivare in cima. Dovevano essere quindici minuti, lui ce ne ha concessi venticinque.
Allora Marco: come buona parte di questa squadra tu hai un passato in Ferrari. È corretto?
“Prima ero in McLaren, prima ancora in Mercedes in HWA a fare il DTM e prima Ferrari. Non arrivo direttamente da Maranello”.
In che anno sei arrivato in Aprilia?
“Nell’estate del 2019, luglio”.
Cosa ti ha spinto fino a qui?
“La curiosità. Era da anni che questo oggetto mi incuriosiva. Non sapevo niente delle moto”.
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Rispetto alla macchina dov’è più diversa la moto?
“Mancano due ruote, il differenziale non c’è… (Ride). No, diciamo che la dinamica è diversa, ho dovuto ripensare tutto: sei abituato a fare le cose in un certo modo, devi essere bravo ad avere la mente aperta. E poi magari pensi di aver fatto una piccola modifica e invece vai a sconvolgere un oggetto con degli equilibri molto diversi. Poi certo, gli obiettivi spesso sono comuni: la riduzione del peso, il controllo delle rigidezze del telaio, piuttosto che l’aerodinamica o il raffreddamento dell’oggetto, perché anno dopo anno diventa sempre più importante lavorare sulle temperature. Sono cose che facevo anche prima, qui però vanno fatte in modo diverso”.
A noi che raccontiamo le corse in moto piace pensare che i piloti siano più determinanti rispetto a quelli che guidano l’auto.
“Mi farò qualche nemico: il rapporto di massa tra il pilota e il mezzo cambia moltissimo. E poi i movimenti del pilota sono decisamente più influenti. Però ecco, a qualsiasi livello il pilota fa la differenza, per estrarre gli ultimi centesimi devi davvero avere il pilota. Non so, in MotoGP si usa tanto la parola feeling. A me ogni volta viene la pelle d’oca a sentire la parola feeling”.
È riduttiva?
“Mah, certe volte secondo me - qui mi farò altri nemici - è quasi l’ammettere un limite: dici ‘il feeling’ quando non hai capito bene di che si sta parlando. Non va bene, bisogna capire prima cosa si intende in modo da sapere se si tratta davvero di feeling o di assetto sbagliato, di altre cose. Certe volte, parlo soprattutto per me, è un modo per ammettere di non aver capito appieno quello che succede. La nostra missione dev’essere quella di anticipare, lasciare meno spazio possibile a questi concetti un po’ misteriosi”.
Parliamo un po’ di messa a punto, qualcosa di cui si parla sempre meno in. MotoGP: qual è il lavoro di una squadra sulla moto ogni weekend?
“Innanzi tutto si parte dal pilota, dalle sue indicazioni. Certo, c’è il pilota che non vorrebbe toccare niente, perché magari arriva da un weekend in cui tutto ha funzionato bene. In realtà però non è vero, perché ogni circuito ha le sue peculiarità e un po’ di adattamento lo fai. La sfida è farlo prima di arrivare al circuito. La sfida è arrivare già con certe scelte e condividerle con il pilota. Quando arriva il weekend di gara non hai mai davvero tempo e, se non hai tempo, l’unica cosa che puoi fare è non toccare niente. Il vantaggio a far così è che il pilota di certo “riconosce” il mezzo usato al Gran Premio precedente, però di fatto rinuncia a ottimizzarlo per quello che sta per correre”.
Dobbiamo parlare di aerodinamica: avete innovato tanto, eppure siete convinti di trovarvi ad un trenta, quaranta percento del vostro potenziale. Come vivi questo sviluppo della MotoGP?
“Stiamo lavorando per mettere in pista degli sviluppi importanti, è uno sviluppo continuo. Ma se sentissi dire a un mio ingegnere che è soddisfatto… soddisfatto de che? Gli altri - come è giusto, li stimo molto - vanno avanti e noi dobbiamo fare lo stesso. Magari anche mettendo in discussione quello che è stato fatto”.
Dal 2027 in MotoGP verrà introdotto un nuovo regolamento tecnico: che cosa vorresti da ingegnere?
“Mah, quello che posso dire è che i cambi regolamentari sono necessari per non finire in un gioco al massacro”.
Quando spendi tantissimo per ottenere poco, perché si lavora solo sul dettaglio.
“Sì, io poi penso alla Formula 1, quando tanti anni fa c’era la macchina per le qualifiche. Un oggetto completamente diverso dalla macchina standard. Si pensava anche a chassis diversi, d’altronde una doveva fare due giri e l’altra sessanta. Fu abbandonata perché insostenibile, anche se stimolante: dovevi costruire due mezzi diversi e con mentalità diverse. In teoria in MotoGP lo potresti anche fare adesso, no?”.
Ti piacerebbe una cosa del genere?
“Chi ti ha detto che non lo facciamo (ride, ndr). Però chiaramente… Il motore resta quello, così come gran parte dei componenti. Tornando alla domanda, quello che mi piacerebbe è avere cento persone, tre gallerie del vento, quattro team che fanno studi di rigidezze… di certo la libertà deve rimanere”.
Quali sono i circuiti che aspetti di più quando pensi alle caratteristiche della vostra moto? Dove potete dare un extra?
“In realtà aspetto i circuiti dove siamo andati peggio, no? Perché se no… Sarebbe pericoloso pensare a quei circuiti in cui la moto funziona, devi lavorare soprattutto dove andiamo male. Noi in questa prima parte di stagione un po’ dovremo soffrire. Poi la chiave è la costanza: Suzuki ha vinto un mondiale vincendo quanto quell’anno, una gara? Noi ne abbiamo vinte due, ma è mancata”.
Qual è il pilota perfetto in senso assoluto?
“Io ho grande rispetto per i piloti, poi quando vedi le tracce della telemetria… sono dei marziani. Però ecco, il pilota perfetto è quello che ti aiuta dandoti indicazioni chiare e possibilmente non contraddittorie. E se non è in grado di fornirle a caldo meglio il silenzio e aspettare: a volte i feedback sono dettati dall’emotività. In quei momenti è difficile trovare l’informazione giusta. Poi al suo posto ammetto che sarei il primo a urlare, a lanciare il casco. La verità è che per un ingegnere il pilota spesso è visto come un sensore, commettendo l’errore di non valutare, e filtrare, la componente umana”.
Se tu dovessi prendere un ragazzo, un giovane ingegnere, come lo cercheresti?
“Beh, sono contento di poter dire di averli presi tutti giovani: la media del mio gruppo è attorno ai trent’anni. L’Aprilia in questo mi piace, abbiamo scommesso molto su persone giovani che si sono formate in qualcosa che non avevano mai fatto. Sì, magari c’è l’appassionato di moto, quello che si è specializzato nel motociclo all’università, però il salto lo fai in un altro modo. Io non cerco il primo della classe. Mi attirano le persone curiose, sicuramente con competenza. Però una competenza sana ecco, non quello che sa tutto. La curiosità è molto, molto più importante. E poi deve saper lavorare bene con gli altri”.
E cosa, invece, non cerchi?
“Quello che ti parla di passione. Che va bene, va benissimo. Però ricordo in Ferrari, dove ho ascoltato tanti colloqui, e c’era sempre quello che ti diceva che sarebbe venuto a lavorare anche gratis: allora vattene! Questo è lavoro, mi devi chiedere il giusto salario per fare le cose fatte bene. Chi eccede in passione… non so come butterai giù questa cosa. Di sicuro qui abbiamo veramente un gran numero di giovani ed è una scelta che sta pagando”.
La sensazione è che ad Aprilia manchi un po’ la costanza di rendimento. Cosa vi manca per arrivare lì, in alto, dove c’è la Ducati?
“Probabilmente devo solo concedere un po’ di tempo in più ai miei collaboratori. Più che altro chiederei a loro cosa posso fare io per metterli nelle migliori condizioni possibili. Perché alla fine un gruppo è condizionato dal leader, magari sono io che devo migliorare la mia leadership. Ed è difficile, la tecnica viene dopo. La tecnica si compra. Un ingegnere si può anche comprare, ma te ne fai poco se non hai una direzione ed ogni ora che passa è guadagnata o persa, il motorsport è una gara contro il tempo. Ma non tanto in pista, dove porti il risultato del lavoro fatto prima. Che tu faccia una moto, una macchina o un tombino - credimi, anche un tombino - devi tirare fuori il massimo considerando risorse, soldi, tempo e obiettivi. Senza chiedere troppo, perché se no la gente si perde. E senza chiedere poco perché se è troppo facile non basta. Cosa manca per arrivare lassù? Non lo so, come dicono i francesi forse a volte manca un po’ di culo. Però non lo puoi scrivere, no?”.
Risate.