In MotoGP corrono i prototipi, vuol dire che per questi mezzi non c’è protocollo. Non ci sono istruzioni, limiti, manuali. È tutto in mano a una piccola squadra di persone che ha il delicato compito di fissare dei limiti: quanto funziona un componente, quando è necessario cambiarlo, come può diventare pericoloso. Il test team, in questo senso, fa un lavoro d’avanguardia, rischioso. In una lunga giornata all’interno del Reparto Corse di Aprilia abbiamo parlato anche di questo, quando Antonio Boselli ci ha presentato a Marco De Lazzari. Siamo in un box in cui, spogliate di tutto, ci sono le Aprilia RS-GP guidate da Lorenzo Savadori, di fatto le due Aprilia più evolute che esistano. Sono piene di cavi, componenti pregiati, fibra di carbonio. Allungando un paio di foto di questi attrezzi, probabilmente, ci puoi comprare un monolocale, di certo per mostrarci le moto in queste condizioni è stato fatto un grosso esercizio di fiducia. “Queste sono esattamente come le moto ufficiali”, ci spiega Marco. “Hanno qualche novità in più che stiamo portando avanti con lo sviluppo. Ma quella che c’è qui è la versione più sofisticata esiste della RS-GP”. A sentirlo fa effetto.
Scopriamo così che il grosso tema dello sviluppo, almeno fino al 2027, sarà la riduzione di peso e ingombri: per aumentare la tecnologia (e quindi le prestazioni) bisogna ridurre, ottimizzare e trovare lo spazio, in breve bisogna aggiungere senza togliere, il che è difficilissimo. Allo stesso tempo ci sono cose, come le pedane del pilota, che sulla moto non cambiano da vent’anni, perché hanno sempre funzionato così e non avrebbe senso fare altrimenti.
La prima domanda: come si convince un pilota a sostituire un pezzo che per lui funziona già bene?
“Eh, è una bella domanda. Con i piloti bisogna sempre stare attenti, specialmente con quelli ufficiali. Magari hai trovato la soluzione che potenzialmente va a migliorare la performance, però se non funziona tutto perfettamente il pilota te lo boccia. E lì sei finito, non potrai mai più riproporglielo”.
Sono un po’ schizzinosi?
“Diciamo che quando vai dai piloti factory devi farlo con soluzioni già collaudate. Il telaio in carbonio che abbiamo portato in pista a novembre, prima di darlo in mano agli ufficiali… devi essere sicuro che funzioni. Poi magari non va meglio, ma non puoi proporre qualcosa che va peggio. E poi ovviamente non deve essere pericoloso, perché quando fai prototipi di questo genere devi tenere conto di tutto, a questo proposito facciamo tantissime prove anche in termini di sicurezza. Infine, c’è da dire che gli ufficiali hanno veramente poco tempo per testare il materiale”.
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Le giornate di test con Lorenzo Savadori invece? Come le gestite?
“A casa definiamo una lista di prove. Da lì fai un run plan, che detto in italiano è quello che andrai a fare durante la giornata. A questo punto fai delle comparative, ci sono prove trasparenti e di performance. Nelle prime non chiedi neanche un commento al pilota perché riusciamo ad avere delle risposte utilizzando i dati. Nelle prove di performance invece vuoi mettere insieme in giudizio dei pilota alla telemetria, per vedere se le due cose combaciano. Nei test il lavoro è incentrato soprattutto sulla prova di nuovi componenti, è meno dedicato al pilota e più alla moto e quindi non si lavora tanto sul setting perfetto”.
Quanto impattano le richieste dei piloti ufficiali sul vostro lavoro? Se Aleix Esparagarò lamentasse un problema all’abbassatore alla curva 5 di Jerez, vi concentrereste su quello?
“In una giornata di test ricca di cose da provare no, si pensa al materiale. Perché altrimenti non si va avanti. Se devi dedicare del tempo a risolvere i problemi del pilota non vai più avanti. Il test team lavora soprattutto in ottica futura, se poi avanza del tempo… Però per quanto tempo tu possa avere sarà sempre poco. Certo è che se c’è un problema atavico della moto alla curva 5 di Jerez allora si lavora anche su questo”.
A proposito: come avete lavorato per migliorare la partenza di Maverick Vinales?
“Diciamo che anche adesso sono in via di sviluppo delle cose che serviranno a migliorare la partenza. Chiaramente a incidere nella partenza ci sono vari fattori: il pilota è una parte veramente importante, poi cos’è che sta facendo grande differenza in questi ultimi tempi?”
Il dispositivo per la partenza, quello che in televisione chiamano device?
“Esatto. È una strada aperta da Ducati, a cui è seguita KTM e poi noi. Ma qui è sempre una corsa alla sperimentazione, c’è poco da fare. Tornando a Maverick, nelle ultime gare ha fatto delle ottime partenze”.
L’aerodinamica invece? Passare dalla galleria del vento alla guida dinamica, la guida in scia, la varietà dei circuiti… dev’essere difficile.
“Siamo sempre supportati dall’ufficio tecnico, quindi hai delle idee su cosa aspettarti e dei dati da verificare. Non si parte alla cieca, hai sempre delle indicazioni di partenza. Tu fai le tue prove e vedi se le cose vanno come previsto in galleria del vento. È un continuo verificare soluzioni”.
Mettiamo via il registratore, restiamo lì a parlare per un po'. Marco spiega che il bello del test team è il rapporto che si crea tra chi ci lavora e il pilota, perché rispetto a una squadra ufficiale passi il tempo assieme in maniera diversa. E poi ci sono le wildcard, che diventano qualcosa a metà tra l’esame di maturità e una sfida con gli altri, che è quello che ti manca di più quando hai a che fare soltanto con il cronometro. Di certo l’emozione nel vedere una modifica che funziona, capace magari di cambiare un risultato - come per le partenze - è un granello di sabbia in grado di smuovere il mondo.