Romano Albesiano c’è sempre stato. Era in Aprilia quando in concessionario ci trovavi quell’opera d’arte in metallo che è la RSV 1000 R, un bicilindrico a V da quasi 140 cavalli. Albesiano, questo piemontese dal fisico asciutto e il viso scolpito, è arrivato in MotoGP dopo aver sviluppato il clamoroso V4 con cui Aprilia ha vinto tre titoli in Superbike, scoprendo con tutta l’amarezza del caso che quello dei prototipi era un mondo radicalmente diverso: serviva partire da zero, con lo stesso coraggio di un siciliano che si trasferisce a New York negli anni cinquanta.
Albesiano in MotoGP ha lavorato con le idee, si è arrangiato, ha spinto e resistito, trovandosi a fare il lavoro di più persone finché qualcuno, in alto, ha capito che per vivere davvero il sogno serviva crederci e ha aperto i rubinetti, riversando grosse liquidità nel Reparto Corse. A quel punto Aprilia ha cominciato una lunga rivoluzione e Romano è stato lì, a soffrire e godere assieme dal primo metro, un passo alla volta, fino alla scorsa settimana ad Austin. Tra le immagini più significative dell’ultimo weekend di gara ce n’è una che lo riguarda, quando Maverick Vinales sta per festeggiare la sua prima vittoria della domenica dopo aver fatto segnare la pole position e vinto la Sprint del sabato. Romano è seduto da solo a guardare da qualche parte, se ne accorge pure la regia che gli dedica un primo piano potente.
Quando andiamo a parlarci tutto questo però deve ancora succedere. È, invece, fresco il ricordo del cambio rotto a Portimão. Nella nostra lunga giornata all’interno del Reparto Corse Aprilia siamo appena usciti dall’ufficio di Massimo Rivola per entrare in quello di Albesiano, che sta a fianco. Pulitissimo e spoglio, asettico, scuro. Sediamo di fronte a Romano con la scrivania a separarci, mentre alle nostre spalle c’è l’unico grosso complemento d’arredo, una lavagna da parete su cui sono scritte note indecifrabili. Albesiano fa un sorriso, trasmette un’eleganza che a vederlo in circuito non crederesti possibile. Starebbe bene a pubblicizzare il profumo in scatti bianco e nero sulla quarta di copertina dei settimanali di gossip, che è più o meno quello che gli diciamo per iniziare la nostra chiacchierata. “Ma davvero?”, la sua risposta. “Beh, io fino al 2013 ho lavorato nella divisione prodotto, quindi avevo tutta una serie di abiti: lo spezzato, il gessato, il doppiopetto… poi sono passato al racing. Ce li ho ancora tutti lì ma non li ho più messi. Non so neanche se mi entrano più”.
Vedi anche
MOW Goes in Aprilia: una giornata nel Reparto Corse di Noale per vedere tutto. Bombardoni al banco, la wall street degli ingegneri, lo sviluppo e il feeling dei piloti
Invece l’ufficio trasmette grande compostezza, c’è un che di austero. Sono le scelte di un ingegnere?
“Quando sono arrivato qui c’era la moto di Valentino Rossi, la 125. Due quadri di Rossi e Biaggi, se ricordo bene… ma la verità è che l’unica cosa che conta è che io senza lavagna non riesco a lavorare”.
Quando sei arrivato qui, in questo ufficio?
“Nel 2013, mentre in Aprilia sono entrato nel 2005”.
Torneresti mai indietro, nella divisione prodotto?
“Ormai sono vicino alla pensione, questi pensieri qui… ho sessant’anni (ride). La verità è che fare il prodotto è difficilissimo, complicatissimo e purtroppo meno divertente, anche se molto interessante. E rispetto alle corse è meno libero, giochi di meno. L’unico mestiere con cui cambierei questo tipo di lavoro è qualche progetto di pura ricerca, sempre nell’ambito delle moto ad alta prestazione. Penso a qualche cosa di molto speciale”.
In oltre dieci anni di MotoGP l’Aprilia ha fatto un po’ come i cani, crescendo sette anni alla volta. Cosa ti ha colpito di più in questa evoluzione?
“È stata un’esperienza veramente intensa. Quando sono arrivato era la fine del ciclo Superbike di Aprilia, dove eravamo molto competitivi anche grazie alla moto di serie che era stata già pensata in ottica corse. Pensavamo che la MotoGP sarebbe stato uno step dopo la Superbike, poi quando invece ci siamo trovati lì abbiamo capito che era molto di più. E nel frattempo questo ‘molto di più’ si è elevato esponenzialmente, c’è stata un innalzamento del livello spaventoso. Fortunatamente l’azienda ci è venuta dietro investendo molto di più e questo ci ha permesso di raggiungere i migliori competitor e giocarcela”.
Senza voler mancare di rispetto al progetto, è come se ci sia stato stato un momento in cui siete passati dall’essere percepiti come un team casalingo, quasi amatoriale, a quelli che vincono i GP con l’obiettivo di giocarsi il titolo. È così?
“Più che un momento specifico è stato un processo di crescita continuo, poi quando gli investimenti sono aumentati abbiamo cominciato a prendere persone in più con competenze particolari. Anzi, alcune persone erano andate via da Aprilia e sono tornate, questo devo dire che è stato fondamentale. E col tempo si è creato un gruppo di lavoro forte”.
Cosa vi manca adesso per arrivare a Ducati? A fare due conti sono meno lontani di quanto sarebbe stato lecito aspettarsi.
“In alcune piste siamo in grado di batterli. Loro hanno un po’ più di stabilità nella prestazione, noi siamo un po’ più altalenanti. Però siamo sempre più vicini e, secondo me, in alcune piste anche migliori”.
Massimo Rivola dice che avete raccolto pochissimo in questo inizio di 2024 rispetto alle potenzialità del mezzo tecnico. Sei d’accordo?
“Sabato pomeriggio, dopo la Sprint del Qatar, eravamo convinti di vincere. Poi non sappiamo esattamente cosa sia successo alla gomma posteriore di Aleix ma la prestazione non è stata quella che aveva avuto fino al momento prima. È impossibile dimostrare qualunque cosa, ma ci aspettavamo almeno un podio. A Portimão era un’altra gara da vincere e abbiamo fatto un errore, ignorando un parametro che invece andava preso in considerazione e… bastava che facesse ancora un giro, porca miseria. Però quasi tutte le squadra acquistano progetti di cambio dall’esterno, noi ce lo siamo sviluppato completamente in casa”.
Ah, questa è una notizia.
“Sì, è così. Adesso non so i giapponesi, ma gli europei fanno così. Ed è giusto per carità, è una scelta perfettamente sensata: vai da uno specialista del cambio e lo fai fare a lui. Noi lo abbiamo sviluppato internamente e c’era una cosa ancora da imparare. Ora l’abbiamo imparata”.
I vostri tecnici sono cresciuti nel Reparto Corse, mentre buona parte degli altri costruttori si ritrova ad acquistare tecnici. Quanto pesa questa cultura motoristica nella prestazione?
“Molto. Sia per Aprilia Racing che per il prodotto del Gruppo Piaggio in generale, perché tutto questo lo vedi qui ma anche sul fronte del prodotto. Poi credo che, tra le squadre europee che corrono adesso in MotoGP, quella che ha più cultura della moto sia l’Aprilia. Stradale, ad alte prestazioni… certo, c’è Ducati, ma è passata attraverso molti alti e bassi. Aprilia è stata al massimo livello tra le moto stradali sportive da quando esiste. Qui c’è una cultura della moto che è veramente nei muri dell’azienda. Se invece la cultura non ce l’hai in casa la devi andare a comprare. Noi di comprarla non ne abbiamo bisogno, al massimo provano a portarcela via”.
Cosa ti aspetti da qui a Silverstone?
“Di vincere qualche gara”.
Il finale di stagione, negli ultimi due anni, è stato sotto le aspettative per voi: come ti spieghi questo calo di rendimento?
“Nel 2022 c’è stata una stagione bellissima fino alla caduta di Silverstone di Aleix, quell’highside in FP4 che ci ha cambiato un po’ la stagione. Da lì è stato un calo più pesante di quanto credessimo. Ci sono due piste, Sepang e Phillip Island, in cui non abbiamo ancora capito dove sia il nostro limite. Lì dobbiamo migliorare. E poi serve stabilità nella prestazione, speriamo - e crediamo - che Maverick la stia raggiungendo. Se ce la facciamo con lui, col potenziale che ha è tanta roba”.
Metterlo in grado di dare il meglio sembra piuttosto difficile.
“Sì. E probabilmente fino ad ora non c’è mai riuscito nessuno, però penso che noi potremmo farcela”.
Quindi di questi due, anzi quattro piloti sei contento.
“Con Aleix lavoriamo assieme dal 2017, me lo ricordo bene quando andai per la prima volta nel suo motorhome per parlare di un contratto perché all’epoca gestivo anche la parte sportiva. Lui è un personaggio particolare, però ormai siamo veramente in famiglia… ogni tanto è dura, però è fantastico. Un uomo eccezionale, la carica che ha è incredibile ed è veramente parte dell’azienda anche lui. Maverick è un diamante che… lo abbiamo lì, capito? Io sono convinto che crescendo, anche come età, ci aspetti un processo molto positivo anche con lui. E se succede sarà un bel film”.
Quest’anno il Team Satellite è passato alla gestione Trackhouse. Come sta andando?
“Ci troviamo molto bene. L’anno scorso abbiamo avuto una annata sfortunatissima con Miguel Oliveira, che era partito fortissimo e ora, dopo tanti infortuni, deve un po’ ritrovarsi. Raul a me piace tantissimo, per me ha una velocità incredibile… anche lui deve mettere in fila le maglie della catena. I piloti sino fortissimi, con la squadra lavoriamo bene, è vero però che dobbiamo dare un po’ più di concretezza al risultato. Gestire un team satellite non è semplicissimo, però stiamo facendo dei grossi passi in avanti”.
Quanto è diverso il lavoro di RNF rispetto a quello di Trackhouse?
“Dal punto di vista tecnico in realtà non cambia un granché. Certo, non vediamo l’ora che tutti abbiano una moto 2024, anche per il confronto dei dati. Loro, anche con l’arrivo di Davide Brivio, sicuramente stanno lavorando a qualcosa di grande. Ma è vero che siamo solo all’inizio”.
Ok, chiudiamo: Se ti chiedessi di scegliere un pilota tra Marc Marquez, Enea Bastianini e Fabio Quartararo?
“Per fortuna non mi occupo più piloti. Comunque sai… tra questi potrei scegliere ad occhi chiusi”.