Cara Formula 1, anche quest’anno sei stata tante cose. Sei stata un sogno per i fortunati che, a bordo pista, ti hanno vissuta dal vivo e per chi ti ha seguita da casa, davanti al televisore. Una certezza per chi veste i colori Red Bull, chi indossa l'arancione sotto bandiera olandese. Un incubo per chi, invece, nel cuore ha altri colori, come il rosso Ferrari, chi vive di ricordi fatti di un tricolore che manca il successo mondiale da troppo tempo. Un debutto importante per chi ha finalmente fatto la tua conoscenza. Un nuovo inizio per chi al contrario, ti conosce fin troppo bene, ma nonostante tutto sembra non averne mai abbastanza. Una ascesa, per chi, ad inizio anno, non avrebbe mai pensato di poter lottare per il podio. Una sfida per coloro che, a Brackley, sognano di tornare presto a vincere come un tempo. Sei stata Max Verstappen. Padrone di se stesso, padrone della pista. Della bandiera a scacchi e del gradino più alto di tutti. Che a soli 26 anni è stato coronato tre volte Campione del Mondo. Sotto le luci del Qatar, in un sabato diverso dal solito.
Max Verstappen, che dei record non si interessa, ma che nel pilota dei record, in questo 2023, si è trasformato. Che di successi in una stagione ne ha 19, che di vittorie consecutive ne ha 10, superato così colui che una volta, in Red Bull era di casa e che per primo, la Red Bull, ha portato sul tetto del mondo: Sebastian Vettel. Che di giri in testa ne ha fatti 1000, come nessuno prima d’ora.
E allora se lo abbiamo sentito ripetere più volte che “questo non lo avrebbe mai immaginato” è perché è proprio così. È così, che nella semplicità di questa affermazione, Max ritorna bambino, tra i tracciati di kart di tutta Europa, le fatiche di un’infanzia dedicata ad un sogno, le soddisfazioni e le sconfitte di un passato, indirizzate verso un futuro, verso la Formula più celebre di tutte. Max ritorna bambino, tra sacrificio e perseveranza, ignaro di ciò a cui avrebbe dato inizio, quel 15 maggio 2016, a Barcellona. Di quell’ultimo giro ad Abu Dhabi, di tutte le pagine di storia che avrebbe scritto di lì a poco.
Cara Formula 1, sei stata una Ferrari che ha sofferto. Una Ferrari beffata da una SF-23 fin troppo imprevedibile, fin troppo fragile. Una Ferrari che ha brillato, sotto il cielo nero di Singapore, per una volta. Che è stata l’unica a porre una fine, seppur momentanea, ai successi della scuderia di Milton Keynes. Perché, se c’è una cosa a cui la Ferrari ci ha sempre abituato, è che la speranza – a Maranello – la si tiene sempre stretta. Che a Maranello, sì il lavoro da fare è tanto, ma alla fine, l’indice di Charles Leclerc finisce sempre con l’indicare il cavallino, come a dire che è difficile, certo, ma è proprio nella difficoltà che si apprezza fino in fondo ogni piccolo risultato. Che alla fine, anche questo è ‘essere Ferrari’.
Sei stata Oscar Piastri, il suo terzo posto in Giappone e un secondo posto in Qatar, dopo il gradino più alto, nella Sprint Race dello stesso weekend. Sei stata Logan Sargeant e il suo primo punto, ottenuto a casa, durante il Gran Premio degli Stati Uniti ad Austin. Sei stata Fernando Alonso, che a 42 anni continua a dimostrare. Di crederci, di potercela fare. Che non c’è età che tenga dinanzi alla passione per uno sport che ti ha cresciuto e cambiato. Per uno sport che ti ha portato gioie e dolori, che ti ha fatto vivere epoche, attraversare generazioni. Alonso che chiede “quanti anni avevi tu?”, a chi, affianco a lui, più giovane, commenta episodi di un passato ormai lontano, ma di cui lui ha fatto parte. Che Fernando Alonso c’era con Schumacher, Raikkonen, Vettel ed Hamilton e 100mila chilometri dopo, è ancora qui, con Max Verstappen.
Cara Formula 1, sei stata la McLaren e un inizio anno sì, a dir poco scoraggiante, ma una seconda metà di stagione altrettanto sorprendente. Perché in fondo, lo hai insegnato bene, nulla è come sembra e tutto può succedere. In uno sport che corre a 300 km/h e che non si ferma ad aspettare nessuno, ti devi reinventare in fretta, imboccare una strada, sperare che sia quella giusta e che, se non lo è, lo può diventare. Ed è così che il team papaya è passato dalle retrovie della griglia a lottare per i punti e poi, per i podi, trascinata da due ragazzi di cui sentiremo parlare spesso, nei prossimi anni. Che sono forse la coppia più promettente, più ben assortita. Lando Norris, cresciuto a Woking, e il sopra citato Oscar Piastri, una scoperta che non è una scoperta, i cui risultati nelle Formule minori parlano da sé e che aspetta, con la pazienza che lo contraddistingue, i risultati dell’avvenire, i risultati che merita.
Sei anche la Mercedes, che non sembra uscire da quel tunnel imboccato nel 2022. Che sembra faticare, eccellere sporadicamente e poi, ritornare nell’ombra di una monoposto a cui manca qualcosa, sotto il nero della vernice che quest’anno l’ha contraddistinta. Sei Lewis Hamilton, a digiuno del gradino più alto da Gedda 2021. E George Russell, che a differenza dell’anno scorso, non ha brillato rispetto al compagno di squadra. “Non vedo l’ora che finisca questa stagione”, così esordisce il Sir durante la Drivers’ Parade di Abu Dhabi, ultimo atto di questo 2023. Forse stanco, sì, forse rimpiangendo periodi migliori, ma di certo non smettendo di credere in quella che ormai, dal 2013, è la sua famiglia, la sua casa.
Sei stata anche il Qatar, dalle condizioni al limite dell’umano. Sei stata Las Vegas e il suo spettacolo. Perché in fondo, ti nutri di questo. Ti nutri, del cambiamento. Ti nutri, delle novità. Del lavoro che grava sulle spalle di 20 ragazzi, i più forti al mondo. Di un lavoro che sì è vero, grava e a volte fa male, ma che allo stesso tempo premia, con piccole e grandi soddisfazioni, fa realizzare sogni e li protrae nel tempo, tra alti e bassi, Gran Premio dopo Gran Premio.
E se quest’anno, è stato il sogno di Max Verstappen ad essersi realizzato, per una terza volta, non ci resta che attendere il 2024 per sapere se la corona potrà mai essere sottratta al pilota protagonista di una delle stagioni più dominanti di sempre. Perché sì, cara Formula 1, c’è chi ti considera ‘noiosa’, di questi tempi, ma c’è anche chi – nella prevedibilità del tuo essere attuale, nella costanza dell’inno olandese – continua sempre a riconoscere che il duro lavoro, alla fine, va sempre riconosciuto. Cara Formula 1, anche quest’anno, sei stata tante cose. Ci vediamo presto.