L’ultimo comunicato stampa diffuso dall’Ospedale Maggiore di Bologna lasciava poco spazio all’interpretazione: “continuano a curarlo con la massima intensità possibile nella speranza di una ripresa delle funzioni d’organo gravemente compromesse”. Possibilità poche, speranza tanta. Ma non è bastato: il Covid19 o, meglio, le conseguenze del Covid19, hanno ucciso Fausto Gresini. Riuscendo dove non erano riusciti anni di rischi e di velocità, come pilota in un motociclismo in cui la signora vestita di nero era ancora appostata dietro ogni curva. La notizia è arrivata questa mattina, 23 febbraio, dopo ulteriori complicazioni sopraggiunte nel pomeriggio di ieri.
L’aveva battuta ogni volta, la morte, insieme ad avversari che all’epoca si chiamavano Angel Nieto, Luca Cadalora, Loris Capirossi. Tre nomi che rappresentano quasi tre ere e tre stili della velocità in moto e che Fausto Gresini ha attraversato in tutta la sua carriera. La prima corsa vera nel 1982, al Gran Premio delle Nazioni, l’ultima nel 1995, in Catalogna. In mezzo, nel 1985 e nel 1987, due titoli mondiali vinti, entrambi con Garelli e entrambi in 125, la categoria che non ha mai abbandonato. Fisico minuto e tigna emiliana, quelle piccole moto a due tempi scorbutiche e nervose erano quasi una seconda pelle per un ragazzo che, come ha raccontato lui stesso, “non ha mai desiderato altro che correre, non ha mai pensato a un futuro diverso da quello da pilota”. E c’era riuscito, diventando anche l’idolo di un giovanissimo “vicino di casa” che si chiamava Loris Capirossi e che, nel tentativo di emulare Gresini, è diventato Capirex. I due sono stati anche compagni di squadra, in Honda, con Fausto che nel 1990 ha quasi accompagnato Capirossi al titolo, come compagno di squadra e seconda guida, e poi come suo più grande avversario nel 1991, quado si sono giocati il mondiale fino all’ultimo, senza alcuna strategia di team. Ancora vicecampione del mondo, poi, nel 1992, fino alle sue due ultime stagioni, sempre in sella alla Honda, e alla decisione che dal 1995 non sarebbe stato più un pilota.
Pagine di storia di un motociclismo che è cambiato tanto, forse troppo, ma di cui Fausto Gresini aveva voluto essere comunque interprete e protagonista. Senza lasciare mai il paddock e senza chiudere il conto con quel mondo a cui aveva dato tanto, ma da cui aveva avuto anche così tanto. Il Gresini Racing, la sua creatura, nacque subito dopo. Prima come un’idea immediatamente successiva alla decisione di appendere il casco al chiodo, poi come team pronto a debuttare nel mondiale nel 1997. Con un funambolo venuto dal Brasile e che rispondeva al nome di Alex Barros come pilota e una Honda NSR 500 V2 come moto. In quell’anno furono subito buoni risultati, conditi anche da un podio che, insieme alle capacità manageriali di Fausto, portò Honda ad equipaggiare il team con una moto ancora migliore e più performante in virtù di due cilindri in più. Nel 1998 i podi diventarono due, con un quinto posto finale di Barros.
Erano, però, gli anni in cui la Classe Regina stava cambiando e Gresini intuì che sarebbe stato meglio, per una squadra privata, attendere che lo scenario si fosse assestato, fino alla definitiva MotoGP. E trasferì il team nella quarto di litro. Con quale pilota? Loris Capirossi, fresco di titolo mondiale. Nel 200 è ancora Classe 250 e nel 2001 arriva la prima grande gioia immensa, il titolo mondiale, con protagonista un giapponese che, purtroppo, sarebbe stato (tempo più in là) anche il primo immenso dolore: Daijiro Kato. Proprio con Kato, il Team Gresini torna in MotoGP nel 2002, sempre con Honda, ottenendo un settimo posto in classifica generale e ponendo le basi per un 2003 al vertici, raddoppiando anche gli sforzi e scommettendo, oltre che su Kato, anche su Sete Gibernau. Ma al primo GP di quell’anno, a Suzuka, il destino decide che la carriera e la vita di Kato dovessero finire lì. Per Gresini è un colpo tremendo, racconterà più volte di aver pensato di chiudere con le corse, salvo poi prendere coscienza che, proprio come quando era un pilota, rinunciare alla vita e alla ragione di una vita per la paura della morte e del dolore della morte non avrebbe avuto alcun senso. La moto di Kato passò nelle mani di Gibernau e chiuse quel mondiale al secondo posto. Proprio come nell’anno successivo, quello della famosa rivalità con Valentino Rossi che nel frattempo era passato in Yamaha.
Nel 2005, con Sete Gibernau c’è anche Marco Melandri ed è proprio l’italiano conquistare per il secondo anno consecutivo il titolo di vicecampione del mondo per il team Gresini Racing. Un matrimonio, quello con Marco Melandri, che durerà, poi, fino al 2008, quando in sella alla Honda della squadra italiana salirono Alex De Angelis e Shynia Nakano. Nel frattempo la MotGP era cambiata radicalmente e tante squadre private facevano fatica a resistere, sotto il peso degli enormi sforzi economici richiesti. E il team di Fausto Gresini sembrava quasi un miracolo moderno, perché continuava ad esserci, era solido e si era ritagliato nel Circus il ruolo di squadra capace di lanciare i giovani e farli crescere nei primi anni di Classe Regina. Grandi in mezzo ai giganti. E rispettati. Grazie a risultati che, nonostante non replicassero i successi degli anni precedenti, continuavano ad arrivare.
E’ il 2010 quando Fausto Gresini, con una mossa da grandissimo manager. Convince Toni Elias a tornare in 250 con il suo team, promuovendo invece in MotoGP un certo Marco Simoncelli. Il ragazzo di Coriano si mette subito in mostra, nonostante qualche caduta e qualche polemica con gli avversari, l’esperto spagnolo, invece, regala ancora un titolo mondiale al Team Gresini, dopo nove anni da quello di Kato e portando in pari il numero di mondiali vinti da Fausto come pilota con quelli vinti da Fausto come Team Manager. Ma nelle corse, proprio come nella vita, a grandi gioie corrispondono spesso grandi dolori. E quello che successe nel 2011, in Malesia, è tristemente noto a tutti. A ricordarlo recentemente, è stato proprio Paolo Simoncelli, nell’augurare a Gresini buon compleanno proprio mentre stava già combattendo con le conseguenze del Covid19: “Fausto ed io abbiamo condiviso un dolore tremendo, ora dobbiamo condividere la gioia della sua guarigione”. Non è così che è andata. Non è così che aveva scritto il destino.
Quello stesso destino che, però, aveva scritto per Fausto Gresini, dopo il 2011, ancora buoni risultati nel mondiale, con quelle moto tutte nere (portate in pista da Alvaro Bautista e Michele Pirro), il colore senza luce, proprio in memoria del SIC, che anche a ricordarle oggi sono un graffio nel cuore di ogni appassionato. Estetica della sofferenza, ma anche del saper andare avanti senza smettere. E, anzi, triplicando gli sforzi, con il Gresini Racing che oltre alla MotoGP partecipa sia al mondiale di Moto2 che a quello di Moto3 (con un Niccolò Antonelli che era praticamente un bambino). L’impegno nelle tre categorie prosegue nel 2014 e ancora nel 2005, con il nuovo sponsor Go&Fun e le livree che tornano bianche, insieme al verde. Poi, nel 2015, la nuova svolta.
E’ in quell’anno, infatti, che è nato il sodalizio con Aprilia. Il marchio di Noale sceglie di tornare in MotoGP con un progetto ambizioso e lo fa in virtù di un accordo proprio con Fausto Gresini, che mette a disposizione le strutture e concentra ulteriormente i suoi sforzi, invece, in Moto2 e Moto3. Proprio nella categoria più piccola, mente Aprilia scommette in Classe Regina su Stefan Bradl e Alvaro Bautista, Fausto Gresini punta tutto su Enea Bastianini. Tanto che l’attuale campione del mondo della Moto2 ha recentemente dichiarato di dover davvero tanto a Fausto, proprio alla vigilia del suo esordio in MotoGP con Ducati.
Per assaporare ancora la gioia di un titolo mondiale, però, bisognerà aspettare il 2018. Il team con Aprilia in MotoGP cresce lentamente, mentre in Moto2 e Moto3 le cose sembrano andare decisamente meglio, tanto che Jorge Martin e Fabio Di Giannantonio chiudono rispettivamente primo e secondo il mondiale di Moto3. Sarà l’ultimo mondiale del motociclismo a tre categorie, perché dal 2019 debutta pure il campionato di MotoE, dedicato alle elettriche. Gresini e il suo team non si fanno sfuggire l’occasione di esserci e al primo anno è subito titolo mondiale, con Matteo Ferrari, che porta a quattro gli allori vinti da Fausto Gresini come Team Manager, doppiando il numero di quelli vinti come pilota.
Poi il 2020, l’anno maledetto del Covid. Il virus è un colpo tremendo per il mondo e, inevitabilmente, anche per le corse in moto. Il Team Gresini resiste, sfiora nuovamente il mondiale in MotoE con Ferrari e si gode i successi di un più che promettente Jeremy Alcoba. Basi buone per il nuovo anno, per un 2021 che avrebbe dovuto essere diverso. Invece, proprio a pochissimi giorni dalla fine del 2020, Fausto Gresini accusa i sintomi di quella che sembrava una banale influenza. Effettua un tampone e risulta positivo. Si mette in isolamento a casa elì trascorre il Natale, in attesa che il virus facesse il suo corso. Invece alla fine di dicembre il virus invece di andarsene si palesa in tutta la sua violenza: difficoltà respiratorie. Per Fausto Gresini un primo ricovero a Imola, poi l’ulteriore tracollo e il trasferimento all’Ospedale Maggiore di Bologna. In una lotta serrata con la morte, quasi un corpo a corpo a colpi di carene, durato per poco meno di due mesi. Come è finita, purtroppo, lo abbiamo letto ieri sera, prima che un filo di speranza si riaccendesse em poi, oggi, in questo maledetto 23 febbraio 2021.