“Sto andando in palestra, ma l’animo questa mattina è quello che è”. Danilo Petrucci è disponibile come al solito quando gli facciamo squillare il telefono, ma questa volta non ha voglia di scherzare e i toni sono quelli dimessi di chi già immagina che il motivo di quella telefonata è la richiesta di un commento a una notizia triste. La notizia, purtroppo, è la morte di Mirko Giansanti: ex pilota del motomondiale in 125 e 250, scomparso ieri a soli 47 anni.
“L’ho saputo ieri, praticamente pochi minuti dopo, da amici comuni – ha raccontato Petrucci – Una notizia tremenda, perché sapevo che non stava bene e che stava combattendo contro il male, ma non mi aspettavo, come nessuno se lo aspettava, che la situazione potesse degenerare così in fretta. Brutto, brutto davvero e quando succedono queste cose c’è poco da dire, se non che sono vicino a tutti quelli che gli hanno voluto bene”.
Danilo Petrucci a Mirko Giansanti non ha voluto solo bene, lo ha adorato proprio e il perché ce l’ha raccontato lui stesso: “Terni è una città di grande tradizione motoristica, grazie a Libero Liberati. Giansanti era l’altro che ce l’aveva fatta e che era arrivato al mondiale non come comparsa, ma come uno dei piloti di riferimento della quarto di litro e della due e mezzo. Io ero piccolissimo, ma sognavo già le corse e solo l’idea che un altro della mia città stava dove io sognavo di stare era per me motivo di orgoglio. Puoi immaginare quando, poi, nel 1999 l’ho conosciuto personalmente. Il paradosso è che, pur essendo entrambi di Terni, ci siamo conosciuti nel mondiale. Mio babbo nel 1999 lavorava per un team che era sponsorizzato da Robe di Kappa e i piloti di quel team erano Mirko, appunto, e Manuel Poggiali. Io avevo nove anni, me lo ricordo come fosse oggi. Mirko magari neanche se lo ricordava come ci siamo conosciuti, ma per me è stato l’incontro degli incontri, perché appunto era uno dei miei idoli e, in qualche modo, era l’idolo più vicino. Tra l’altro era anche un gran manico e non faccio fatica a dire che in carriera non ha raccolto tutto quello che meritava”.
Nel motomondiale, comunque, Giansanti era uno dei riferimenti per le classi minori e anche nelle altre categorie aveva sempre saputo distinguersi, fino a diventare un uomo Yamaha in Superbike. “Siamo stati pure compagni di squadra – ha raccontato ancora Petrucci – Io iniziavo allora, avevo circa quindici anni, e lui correva per lo stesso team che diede a me l’opportunità di affacciarmi nei campionati che contavano. Era un uomo molto taciturno, il classico pilota che parla quasi solo e esclusivamente attraverso il polso. Molto riservato: tanta manetta e pochissime parole. Anche della sua malattia non lo sapevano in molti, io stesso l’avevo saputo da amici comuni e attraverso loro mi tenevo informato, ma che arrivasse così in fretta addirittura la morte è qualcosa che nessuno sapeva. Mi dispiace da matti”.
Che il profilo dell’uomo Mirko Giansanti sia stato nobile e straordinario come quello del pilota è noto a tutti nell’ambiente del paddock e alle parole di Danilo Petrucci di questa mattina si accompagna anche il commento che Guido Meda ieri ha affidato ai suoi profili social. “Ho avuto l’onore e il piacere di commentare Mirko Giansanti in tante gare di 125 e 250 e di vivere con lui tanti piccoli momenti di qualità nel paddock – ha scritto Meda - Semplice, sobrio, educato, umano, dolce. E veloce. Uno di quei piloti dell’era delle piccole cilindrate a due tempi del mondiale che sono ancora oggi un club naturale di persone nobili. Giansanti era uno di quei ragazzi che quando li rivedi dopo tanti anni e si sono fatti uomini sei ancora felice di buttar loro braccia al collo perchè te lo ispirano, lo sai. Credo di non sbagliare se dico che nei paddock dove ha corso e lavorato gli hanno voluto bene davvero tutti; e badate che non succede con chiunque. Ecco, un ultimo nostalgico, affettuosissimo abbraccio caro Mirko. Sono incredulo”.