“L’investimento resta l’unica dinamica potenzialmente fatale nel motociclismo odierno, con gli standard di sicurezza raggiunti”. È una frase che si sente ripetere spesso dagli addetti ai lavori. Contiene una buona dose di verità, ma non ci si può adagiare su questa posizione senza cercare di eliminare, o quantomeno ridurre il più possibile, l’unica componente rimasta a generare tragedie. Specialmente se equivale a 3 il numero di incidenti mortali in poco più di un anno. Tutti piloti giovani, tutti appartenenti a quelle categorie propedeutiche ma che troppo spesso vengono definite “minori”, forse perché minore è l’attenzione dedicata. Sono le piccole cilindrate: la Moto3, la Pre Moto3 e la Supersport 300.
Troppe moto sulla griglia di partenza, nessuna rilevante differenza di prestazione tra di esse. Allora le probabilità di vedere un pilota che scivola immediatamente investito da quello che sopravanza, soprattutto nelle prime fasi di gara, aumentano vertiginosamente. Dopo le tragedie di Jason Dupasquier al Mugello (Moto3) e di Dean Berta Vinales a Jerez (Supersport 300) - entrambe verificatesi nel 2021 per dinamiche da investimento – niente è stato fatto per cambiare il corso degli eventi e aumentare la sicurezza. L’incidente fatale di Victor Steeman a Portimao, una settimana fa, non può più essere imputato alla sola fatalità. Andrea Migno, senza sprecare una parola, ha denunciato la situazione riversando tutta la sua rabbia in un post su Instagram: “Mi riferisco alle categorie minori, quelle con dei ragazzi giovani, degli adolescenti. Quelle categorie che si sono ammalate nel corso degli ultimi anni. Ormai non basta più neanche il morto per cambiare le cose, come dobbiamo fare? A chi ci dobbiamo interpellare?” – esordisce il pilota di Saludecio. Andrea, poi, continua: “Fino a qualche anno fa, quando le cose andavano meglio, esistevano i duelli, gli ultimi giri a giocarsi la posizione tra 2-3 piloti vicini, massimo 5 o 6 quando si trattava di ‘gara di gruppo’. L’obiettivo, una volta, era cercare di fare il tempo in qualifica da soli e senza scia. Era normale. Oggi, per moltissimi piloti, sembra utopia. Oggi nella maggioranza dei GP di un campionato, ogni weekend un gruppo di 20 e più piloti rischiano la vita (e purtroppo anche peggio) costantemente perché si ritrovano costretti ad inseguirsi e speronarsi per arrivare al risultato finale. In televisione si percepisce solo una minima parte di quello che succede in pista, è una escalation di rischi presi da tutti i piloti in ogni curva, una guerra tra ragazzi”.
Migno, infine, arriva alla questione nodale: “Credo che trovare il perché di queste tragedie non sia scontato, di sicuro credo che qualcosa debba cambiare. Probabilmente oltre alle questioni economiche delle quali non siamo qui per parlarne, ma che esistono, sarebbe ora di dare ai giovani la possibilità di fare la differenza sulle loro moto, come nelle categorie superiori. Dove chi riesce ad andare più forte ed essere efficace nell’arco di uno o più giri può determinare la differenza in pista. Nelle categorie minori questo non accade più. È troppo raro vedere fare la differenza in pista sebbene il talento e gli attributi tra i piloti possano essere ben distinti al contrario di moto tecnicamente troppo facili da portare al limite per tutti. Le categorie minori vanno rifondate. Questo è il mio pensiero dopo un’altra vita persa in pista. Non si può far finta di niente ancora una volta”. Le parole di Migno sono più che condivisibili. Cambiare le cose, dopo la terza tragedia in un anno, è obbligatorio.