Prima, per Max Biaggi, il record di velocità nella base Nasa, poi un dialogo sui vari aspetti della sua vita e della sua carriera, legata anche alla rivalità con Valentino Rossi.
Una carriera agonistica chiusa a fine 2012 dopo 21 stagioni di gare, tra Motomondiale e Superbike. Rimpianti? “Nessuno. È stato – dice Biaggi al Corriere – bello e appassionante sempre. Al termine del 2005 non ero del tutto convinto di passare alla Superbike, mi presi un anno di tempo rinunciando a due proposte molto vantaggiose sia per restare in MotoGp con il team Ducati Pramac, sia per passare subito in Superbike con Honda. È che desideravo mantenere un livello alto, restare protagonista, e una parte di me stesso chiedeva una pausa prima di ricominciare a correre. Fu una buona scelta, vinsi due mondiali una volta tornato in pista”.
Biaggi parla di “alti e bassi, come capita a ogni campione. I ricordi più belli riguardano le battaglie durante le gare, quelle dei primi anni con Harada, Waldmann, Jacque, Capirossi e quelle della seconda fase contro Valentino, Roberts, Doohan. Molti avversari importanti, anche se da noi vengono ricordati soltanto i duelli con Rossi”.
Com’è nata la rivalità con Vale? “Mah... è accaduto, semplicemente. Una fase della mia carriera è coincisa con una fase della sua. Ci siamo trovati vicini. Non è possibile gestire completamente il proprio percorso e non mi pare giusto star qui ora a giudicare ciò che accadde. Penso che l’incrocio abbia offerto giorni belli e giorni brutti e comunque per me si tratta di un ricordo più positivo che negativo”.
Non fu un semplice dualismo, ma, dopo aver toccato i 456 all’ora, Max frena: “Non mi piace fare polemiche, anche perché lo sport insegna tante cose, mostra errori da non ripetere. Piuttosto, c’è una cosa da dire: per me, cresciuto a Roma, è stato più complicato emergere e affermarmi, non appartenevo ad un’area geografica propizia e questo mi ha formato, mi ha dato, se possibile, più forza”.
Biaggi, riguardo al suo team in Moto 3, si smarca da Rossi anche per quel che riguarda l’Acadamy: “Ho fondato il team per competere al livello più alto possibile. Nulla di comparabile con quanto ha fatto Valentino o fanno altri nelle academy. Noi cerchiamo la prestazione e se c’è un giovane promettente da lanciare, tanto meglio. Però non ho l’ambizione di fare scuola, è qualcosa che viene già fatto da altri. Nel 2022 correrà con noi un anziano della Moto3, John McPhee reduce da una stagione disastrosa. Mi piacerebbe rilanciarlo, rimetterlo in carreggiata, come è accaduto con Romano Fenati quest’anno”.
Il Corsaro parla anche di Marco Simoncelli, in vista dell’uscita del documentario sul Sic: “Venne a correre in Superbike a Imola, come wild card. Lo conobbi veramente allora e fu un bellissimo incontro. Era scanzonato, molto simpatico, andammo d’accordo subito. Viaggiava sempre a tutta... se ben ricordo cadde tre volte in tre giorni e chi corre in moto sa che le cadute sono da evitare il più possibile. Anche se insegnano tante cose”.
A volte però, purtroppo, non ci si rialza: “Non credo esista – sottolinea però Biaggi – una formula capace di rendere meno pericoloso il motociclismo. Molto è stato fatto, rispetto ai tempi di Giacomo Agostini ma spesso non c’è ritorno, solo andata. Hanno fatto bene ad alzare l’età dei debuttanti. Un pizzico di esperienza in più può essere utile per ridurre gli errori e quindi gli incidenti”.
Quanto al record mondiale di velocità su moto elettrica, “ci siamo spinti nei pressi dei 500 chilometri orari. Anche per un pilota abituato a viaggiare oltre i 300 fa impressione, l’occhio umano non percepisce più le immagini nitidamente, la vista si riempie di pixel. Guardi in avanti ma non vedi più come servirebbe. La tuta, pur essendo aderente al massimo, comincia a vibrare, brucia, ustiona la pelle. Questo – conclude Max – è davvero limite estremo”.