Il sito dell’Itia, l’International Tennis Integrity Agency, ha una sezione nella quale segnala i ritiri degli atleti professionisti: “Retired players”, pagina graficamente essenziale, nei toni del bianco, del grigio e del nero, nome e cognome, data di ritiro, nazionalità. Già così mette tristezza, e meno male che non ci sono commenti, spiegazioni o memorie sulla carriera, altrimenti parrebbe la sezione “obituaries” dei quotidiani britannici. Ma tant’è: è lì che qualcuno, una manciata di giorni fa, si è accorto della presenza in lista di Camila Giorgi, la cui storia con il tennis professionistico si è chiusa il 7 maggio 2024 perché, cancellandosi dal protocollo antidoping (l’Itia, di fatto, annota questo) al quale sarebbe stata sottoposta, ha salutato di fatto il circuito.
Giorgi il ritiro non l’ha mai annunciato, coerentemente con l’immagine che ha sempre proiettato di sé. Mi si nota di più se mi ritiro e lo annuncio Urbi et orbi con tanto di story social lacrimevole, grazie tennis per tutto quello che mi ha dato ma anche no, o se non ne accenno proprio? Morettianamente, la seconda, perché dopo un’ultima fase di carriera senza sussulti e con le motivazioni al minimo, oggi di Camila Giorgi si occupano tutti, giocando sul ritiro misterioso, sulla modalità sicuramente inusuale di una scoperta avvenuta per caso, di un “giallo” sulla sua irrintracciabilità. Scrive Gaia Piccardi sul Corriere della Sera che “la Wta l’ha cercata per un commento, trovando telefoni staccati (il suo, quello del padre, quelli dei fratelli Leandro e Amadeus), un messaggio vago e sibillino (Camila farà sapere qualcosa di sé non prima del Roland Garros, forse) e l’eco di un’indiscrezione che la vorrebbe trasferita precipitosamente all’estero per problemi in Italia”. E invero un problema in Italia ce l’ha, dal momento che a luglio dovrà comparire davanti al gip di Vicenza, dove è accusata – come la cantante Madame – di falso ideologico per aver chiesto di ottenere il green pass senza avere effettuato la vaccinazione anti-Covid, nell’ambito di un’inchiesta iniziata nel dicembre 2022.
In fondo, sia quel che sia, è tutto in stile Giorgi. Un ritiro punk, come punk sono stati diversi momenti della sua carriera. Una carriera che, sportivamente parlando, va declinata secondo il periodo ipotetico di terzo tipo, quello dell’irrealtà: se fosse stata, se avesse fatto, se non si fosse rivelata così intermittente, se, se, se. Talento precoce, l’estetica giusta per accaparrarsi titoli e fotogallery (prima i completini disegnati dalla madre, belli per carità, ma i soldi della Nike sono un’altra cosa), e del resto avrebbe potuto fare la modella (e probabilmente lo farà, o qualcosa del genere: un brand proprio – Giomila – già ce l’ha), una storia cosmopolita e non priva di drammi famigliari: questo a bordo campo, mentre in campo per Giorgi il conto finale parla di quattro titoli Wta, tra cui il 1000 di Montreal nel 2021, dei quarti a Wimbledon nel 2018, di un esordio da wild card agli Internazionali di Roma 16enne, giovanissima e promettente, del 26esimo posto come best ranking.
Punk perché scostante, punk perché solo chi ha quell’attitudine può permettersi di rispondere, a un giornalista che le chiedeva un parere su Serena Williams (Wimbledon, 2018), un memorabile “I dont’t follow tennis, woman tennis; and I don’t follow tennis”, che è un po’ uno ‘sticazzi gettato con eleganza sul tavolo dei buoni rapporti e delle ipocrisie, delle conferenze stampa di plastica nelle quali guai a dire una cosa intelligente, e del resto Giorgi si è fatta la nomea di antipatica, per pensieri, parole, opere e omissioni. Non è cattiva, solo che la disegnano così, e in effetti chi viene disegnato così spesso è indecifrabile, vive un mondo suo (e chi non lo fa?), ha per la testa altro rispetto a ciò di cui, quella testa, qualcuno vorrebbe riempire. I rapporti con la federazione? Pessimi, e già prima della rinuncia alla convocazione per una gara di Fed Cup del 2016, con la Fit che la sanzionò con una squalifica di nove mesi, e il caso si protrasse a lungo anche perché Giorgi non era tesserata Fit. Il rapporto con le colleghe? Il giusto, la vita mica è solo il tennis. Quelli con gli sponsor? Sì, ok, ma.
Non certo singolare, per quanto sui generis, è invece stato il rapporto con il padre-allenatore Sergio, e qui al contrario la storia di Camila Giorgi ha riproposto un topos ricorrente nel tennis: quella di una famiglia che basta a sé stessa, di un clan come qualcuno l’ha definito, perché lì – nelle scelte, nelle invettive, nelle particolarità di papà (“Dedico tutto a lui”, disse Giorgi dopo il trionfo di Montreal), nel suo sguardo minaccioso a una giudice di sedia a Roma, nella sua volontà di costruire la Camila tennista – si trovano i paralipomeni della carriera della figlia, e probabilmente anche la decisione di andarsene senza salutare, di fregarserne di tutto ciò che viene scritto e detto.