Il 7 giugno 2025, al Courmayeur Sport Center, Mattia Faraoni ha conquistato il titolo mondiale Iska nella categoria super massimi (+100 kg), in occasione dell’evento "Oktagon Valle d’Aosta". Il match, atteso come co-main event della serata, lo ha visto contrapposto al romeno Claudiu Istrate in un incontro che si è concluso dopo appena 87 secondi. La vittoria dell’italiano è arrivata per squalifica dell’avversario, colpevole di aver sferrato ripetuti colpi alla nuca, vietati dal regolamento. Istrate, pur avendo atterrato Faraoni in tre occasioni durante l’avvio concitato del match, è stato sanzionato dall’arbitro per le irregolarità e ha abbandonato il ring prima ancora della lettura del verdetto. E le polemiche non si sono fermate al match.
Chi è Mattia Faraoni
Classe 1991, romano, Mattia Faraoni è uno dei nomi più noti del panorama italiano della kickboxing e degli sport da combattimento. Ex cintura nera di karate full-contact, ha poi praticato boxe a livello agonistico (record 8 vittorie, 1 sconfitta e 1 pareggio) prima di affermarsi nella kickboxing. Ha già detenuto il titolo mondiale ISKA nella categoria super cruiserweight (-95 kg), difendendolo con successo contro avversari di rilievo internazionale come K-Jee, Bogdan Stoica e Dănuț Hurduc. Tecnico, spettacolare e disciplinato, Faraoni è riconosciuto per la sua capacità di mescolare colpi di karate e boxe, con tecniche esplosive come spinning back kick e axe kick. Il titolo dei super massimi rappresenta una nuova vetta nella sua carriera.

Chi è Claudiu Istrate
Nato in Romania nel 1995, Claudiu “Claudio” Istrate è un atleta di esperienza con base in Italia. Ha all’attivo circa 60 vittorie (33 per KO), 25 sconfitte, 3 pareggi e un no-contest. Specialista di kickboxing e Muay Thai, ha partecipato a tornei di rilievo mondiale come le Venum Victory World Series, K-1 World GP e ha sfidato anche il leggendario Jérôme Le Banner nel 2014 per una cintura ISKA. Istrate è conosciuto per la sua aggressività e potenza nei colpi, ma anche per un approccio spesso al limite del regolamento. Il match contro Faraoni lo ha visto protagonista in negativo: pur partito forte e incisivo, è stato penalizzato per colpi proibiti che hanno costretto l’arbitro a interrompere l’incontro.

Il commento di Istrate
Ci tengo a dire due cose per quelli che pensano che io abbia commesso i falli apposta o che abbia qualcosa di personale contro Mattia. Io non ho niente di personale contro di lui: lo rispetto come sportivo, come persona. Assolutamente niente di personale. Ora vi spiego anche il mio comportamento, la mia foga e la mia rabbia che avete visto sul ring. Ragazzi, io faccio questo sport da 18 anni, anche se voi non mi conoscete. Ho rappresentato l’Italia due volte al K-1, nella finale di Tokyo 2023 e Tokyo 2024. Sono arrivato fino in finale nel 2023, eppure qui in Italia nessuno mi conosce e non ricevo rispetto, né da voi né da altri italiani. Invece di rappresentare la Romania, ho scelto di rappresentare l’Italia, il vostro Paese. E voi non mi rispettate, non mi conoscete. Questo non mi offende, ma ci tengo a farvi sapere che ho 18 anni di esperienza: 90 mesi da professionista, 30 mesi da amatore, tante sconfitte, tante rotte, tanti sacrifici in palestra e nella vita, per la mia famiglia. Io sono sposato, ho una famiglia. Combatto per loro. Combatto per i miei cari, che stanno anche a casa. E quando entro su quel caz*o di ring, io ci entro con tutti i miei sacrifici sulle spalle, fatti in 18 anni. Mi trasformo. Divento davvero un grizzly con la sua preda. Quando vedo che il mio avversario non vuole combattere davvero, che non accetta il confronto, che mi sta solo addosso per impedirmi di lavorare, che cerca scuse per non combattere e per farmi squalificare, io impazzisco. Ma impazzisco davvero, come non sono mai stato. Perché io sono così. Divento cattivo quando combatto per me, per i sacrifici fatti in tutti questi anni, per la mia famiglia. Essere arrivato fino a qui, dopo tanti anni in Italia, a questo livello… io mi meritavo tutto questo molto prima. Ma va bene così, Dio conosce il momento giusto. Solo che arrivare fin qua e non ricevere rispetto dall’avversario, vedere che non vuole combattere con onestà e che l’unico obiettivo è farmi squalificare… questo mi ha fatto diventare aggressivo. Ma io combatto sempre con rispetto. E lo rispetto anche lui, come persona. Non ho niente di personale contro nessuno. Ma, quando entro sul ring, mi trasformo. Perché io sono un caz*o di grizzly!

Il commento di Faraoni
Ci sono regole che vanno oltre il regolamento. Regole non scritte, ma fondamentali: il rispetto, l’educazione, la realtà. Sono quei valori che rendono il combattimento qualcosa di diverso, qualcosa di nobile. Qualcosa che educa. Quando saliamo sul ring non portiamo solo i guantoni: portiamo con noi la disciplina che alleniamo ogni giorno. Quella che ci rende persone migliori. Quando un atleta scavalca quei valori, non manca di rispetto solo a me. Sta tradendo tutto lo sport da combattimento. Uno sport che ogni giorno deve lottare contro i cliché: “sport violento”, “sport per esaltati”, “sport per gente fuori equilibrio”. Questa non è la mia morale. Non è la mia etica. Io combatto tutti i giorni contro questi stereotipi. E lo faccio perché non voglio alimentare i pregiudizi. Non voglio dare ragione a chi pensa che siamo solo dei violenti. Sabato ho subito un’azione illegale. Ho ricevuto diversi colpi sulla nuca, reiterati, recidivi, volontari. Siamo professionisti: sappiamo bene quello che facciamo. Dal primo secondo del match ho percepito un atteggiamento scorretto, e io non ho potuto fare niente. Io quel match l’ho voluto più di ogni altra cosa. L’ho cercato, l’ho preteso. Volevo combattere, ma non mi è stato permesso. È lui che si è fatto squalificare. Chi fa il nostro sport lo sa bene: i colpi alla nuca, soprattutto da parte di un uomo di 110 chili, fanno male. Possono compromettere la vita di una persona per sempre. Non è uno scherzo. Ultimamente ci sono stati casi di atleti, ragazzi, a cui la vita è cambiata per sempre. E ragazzi, non è un discorso di tifo. È un discorso etico. È un discorso di salute. Perché il nostro sport merita rispetto.
