Quelli che dicono “È gia una vittoria essere qui” mentono. Nessuno spende il budget di un box in centro a Milano per arrivarci soltanto, alla Dakar. È vero, tuttavia, che guadagnarsi la foto alla partenza è di per se un’impresa: questo è l’unico rally dove tutti salgono sul podio e ricevono la medaglia di finisher, se finiscono. Ho salutato l’ultimo letto vero stamattina a Jeddah, e sono arrivata a Bisha. Il profumo intenso di zafferano è lo stesso in tutta l’Arabia Saudita.
Siamo nel pieno delle verifiche tecniche, fase della gara in cui mi esprimo al meglio perché come rompo le palle io sulle pieghe del regolamento, nessuno può. In Race Direction sono quasi tutti francesi, l’organizzazione ASO è parigina - gli stessi del Tour de France - e la loro fortuna è che il mio francese non è mai stato brillante, altrimenti il potenziale di vedere orecchie sanguinare ci sarebbe. In sostanza la giornata è scandita da diverse fermate obbligatorie dove il camion, l’abbigliamento, gli strumenti, i caschi, i mezzi di assistenza vengono controllati per essere conformi: se non ti danno lo sticker di conformità non puoi accedere alla fermata successiva.
Se non fai tutte le fermate, domani non parti per i test privati, non fai lo shakedown, etc etc etc. Raramente ti rimandano a casa, hanno però il potere di toglierti qualcosa di piccolo ma potenzialmente prezioso, tipo quel supporto che ti teneva gli strumenti proprio come li volevi e che risulta fuori di qualche centimetro. E Dio sa quanto in un posto sperduto del mondo un po’ troppo denso di testosterone i centimetri contino moltissimo, per dire. Inspira. Espira.
C’è una cortina di stress nell’aria, per i PRO che si giocano qualche soluzione non del tutto ortodossa e se gliela togli si convincono di non avere più il talismano per vincere.
Sono un po’ tutti autistici ed estremamente scaramantici i PRO, si sa.
Lo pensano i piloti della Malle Moto, la categoria per eccellenza della Dakar, quella senza assistenza, perché sono soli e ci sono veramente molte cose da fare, da spostare, da rimontare, da fissare meglio. Lo penso io, che vorrei stare a farmi i selfie sull’Instagram come una vera influ, e invece ho da smontare per la seconda volta la barra di sostegno che mi ero diligentemente costruita per ancorarmi con i piedi in postazione di navigazione. La barra è sul pavimento del camion, incugnata dentro una rientranza, la rientranza nasconde fiotti di lubrificanti, olio, viscosità varie e così la manicure per Miss Italia finisce qui.
La vita vera non ti lascia mai le mani pulite, porca miseria.
In mezzo a tutte queste operazioni familiarizziamo con il bivacco di Bisha, la prima cosa che cerchi è la buca del fuoco. In tutti i rally c’è il posto del fuoco per la notte, serve per radunarsi al briefing di fine giornata ed è una tradizione che arriva da lontano, da chi il deserto lo attraversava perché doveva.
Quello della Dakar è un fuoco imperiale, il gran visir di tutti i fuochi, ed è sopratutto dove mi asciugherò prossimamente i capelli.
Stasera finisce il 2024, che per me personalmente è stato come essere sveglia durante un intervento senza anestesia: non ne sentirò la mancanza. Mi presento all’inizio del 2025 con quello che mi porto via da domattina: una tenda in mezzo al sabbione, la fiaschetta di whisky che ho illegalmente nascosto nel doppio fondo del camion (un saluto agli addetti francesi al controllo dei doppi fondi quando abbiamo imbarcato i mezzi a Barcellona) e l’altra fiaschetta -quella d’olio di casa- che mi ha raccomandato di avere Gioele Meoni (abbiamo fatto il film sulla sua storia, non mi prodigo nella marchetta, si vede su Prime Video a questo link), il gruppetto di dakariani che sono qui in carne e ossa, le persone che non sono qui ma un po’ ci sono, il bracciale di cuoio - il quadrifoglio - la moneta con il cinque - la mia Madonna di Guadalupe e i ninnoli minori nascosti qua e la. Mi porto l’assenza ingombrante del computer: piccola grande conquista prendere un aereo senza il Mac e con le mail disattivate.
Le stelle che si vedono da qui la notte sono clamorose e in qualche modo di giorno sembra che non serva la pioggia per far crescere i fiori negli angoli verdi; io che resto un’inguaribile ottimista ci piscerò sopra (cit.).
Domattina è il 2025, allacciamo il casco, stringiamo le cinture. Non serve altro.