Marc Marquez non ha bisogno di essere difeso. Se non ha paura di tornare in pista dopo quattro operazioni chirurgiche di fila e gravi problemi alla vista, difficilmente avrà problemi al fegato a causa della stampa italiana. Che però, a volte, è semplicemente indifendibile.
Stavolta il pretesto, anche il nostro, è una lunga intervista rilasciata da Marquez agli spagnoli di AS in cui, complice il fatto che si corresse in Malesia, si è tornati a parlare di Sepang 2015. Marc (qui trovate le dichiarazioni per intero) è stato piuttosto chiaro: “A 22 anni e per come è successo tutto sì, mi comporterei allo stesso modo”. L’ha ripetuto subito per non essere frainteso ed è del tutto legittimo.
Così com’è legittimo che Valentino Rossi su di lui ci abbia messo sopra una croce così grossa che andrebbe bene per il Cristo di Rio. Il Doc non è mai stato troppo diplomatico, se si mettesse a fare retromarcia per accontentare fan e giornalisti risulterebbe solo un po’ triste. Lo aveva detto di Biaggi (“Non è che tutti ti possono stare simpatici”) e di Marquez penserà lo stesso. Anche dei fan antisportivi c'è poco da dire, li ha riassunti bene Francesco Bagnaia: “Magari hanno avuto una giornata difficile al lavoro e commentano per sfogarsi”. Anche questo è legittimo.
Per chi scrive di corse per lavoro però il discorso non regge. Il mestiere del giornalista, nel motorsport, lo fai se sei appassionato della competizione e dei personaggi, se vedi i piloti come esseri umani capaci di cose straordinarie. Riconosci che a loro, a tutti quanti, è richiesto un quantitativo spaventoso di coraggio e talento per essere lì. Invece, appena l’intervista ha cominciato a girare, è tornato prepotente quell'approccio che ti puoi permettere da tifoso, non da giornalista. Un titolo: “Marquez senza vergogna: difende la porcata su Rossi nel 2015”. Un altro: “MotoGP, le manie di protagonismo di Marc Marquez. Sanguisuga di Bagnaia e poco sportivo”.
A leggerli viene un po’ di tristezza: davvero c’è ancora chi deve puntare sul finale del 2015 per raccattare un click, cercando l’approvazione di un pubblico che probabilmente le gare nemmeno le guarda? In sette anni abbiamo attraversato guerre, pandemie, crisi; una manciata di governi, la morte della regina d’Inghilterra e ancora pensiamo al Marquez del 2015. Qualcuno dice che il 2015 qualifica l'uomo, non lo sportivo. Macché: l'uomo non viene ripreso dalle telecamere, l'uomo è quello che va in vacanza, sta con la famiglia, porta a spasso il cane, si innamora. L'uomo decide se preferisce bersi una birra in casa o andare a ballare. Quello in pista è lo sportivo soltanto e, se ti piacciono le corse, non puoi sperare che se ne vada, che non corra. Lui è cambiato, la MotoGP è cambiata. Questo sport non è conservatore, vive di un’evoluzione vertiginosa sia in termini tecnici che umani che va assecondata. Fare il contrario sarebbe come presentarsi alle interrogazioni di terza superiore, quelle di fine anno, con un monologo sugli etruschi pescato dal programma delle elementari.
Ormai Marc Marquez non deve dimostrare niente a nessuno, oltre al fatto che, nel frattempo, ha pagato carissimo il suo approccio alle corse rischiando più volte il ritiro. Ritiro che - oltretutto - Valentino Rossi si è concesso nel 2021, allontanandosi a passi ben distesi dal paddock della MotoGP per dedicarsi alle auto. Continuare a scrivere “porcata”, “poco sportivo” o “sanguisuga” non è solo mancanza di rispetto, è proprio mancanza di creatività. Di argomenti, anche. La MotoGP di oggi offre spunti continui e, volendo, anche polemiche a non finire, dai presunti ordini di scuderia alle decisioni controverse della direzione gara: perché continuare a riproporre questo astio, oltretutto con il piglio di chi non ha paura di dire la verità? Che noia.
Per fortuna - ma neanche tanta - questi articoli si possono leggere. Uno sostiene che Marc abbia preso la scia a Bagnaia per far parlare di sé, l’altro è un clickbait con dichiarazioni rubate (non per intero, chiaramente) a un altra testata che le ha tradotte. Fatevelo dire ancora, un’ultima volta: avete rotto il c***o.