Lo vedi con quella camicia sempre di fuori e l’aria stralunata e pensi che quel tipo lì in un paddock della MotoGP moderna non c’entri proprio niente. Poi ci pensi meglio e ti rendi conto che forse a entrarci poco è la MotoGp di adesso con lo spirito del motorsport: tutti impettiti, nessuno che osa, ognuno impegnato a misurare parole per non pestare questo o quel piedino delicato. E poi c’è lui, Carlo Pernat, che l’evoluzion (o l’involuzione?) del motomondiale l’ha attraversata tutta, mantenendosi sempre identico a se stesso: istrionico, eclettico, goliardico e, prima di tutto, capace.
Capace di capire dove sta il talento, capace di farlo crescere, capace di riservare al talento stesso dei piloti che prende sotto la sua ala le migliori opportunità. E capace pure di riprendersi dopo le mazzate che la vita ti riserva. “Quando Marco Simoncelli è morto ho avuto netta la sensazione che fosse finita, che avrei dovuto smettere, che quel dolore lì che sentivo non mi avrebbe più permesso di essere Carlo Pernat – ci ha detto in una recente intervista – Ho preso atto della sofferenza, perché tanto della sofferenza puoi solo prendere atto, e piano piano sono venuti fuori i ragionamenti giusti: chiudere, abbandonarsi alla tristezza, avrebbe significato non rendere onore alla mia vita e nemmeno alla morte di quel ragazzo a cui ho voluto così bene. Però non ho avuto fretta, ho aspettato che capitasse qualcosa per cui valesse davvero la pena”.
Quel qualcosa è capitato quando Enea Bastianini, già giovanissimo pilota del mondiale che sembrava incapace di mantenere la sua stessa promessa, ha bussato alla sua porta. Aveva bisogno di un manager e Carlo Pernat, l’uomo che ha contribuito a fare grandi Cagiva e Aprilia, l’uomo che ha vinto nel cross, nei rally e nella velocità, l’uomo che ha portato nel mondiale gente come Max Biaggi e Valentino Rossi, poteva essere la persona giusta. “Negli occhi di Enea quella volta ho visto il fuoco delle corse. E’ una cosa che non hanno tutti, anzi, è una cosa che è proprio rara – ha raccontato ancora – l’ho preso con me, abbiamo cercato le giuste opportunità e abbiamo, di fatto, ricominciato da zero una carriera. Fino al titolo mondiale della Moto2 e adesso a questi risultati in MotoGP”.
L’altro qualcosa, invece, è capitato quando a bussare alla sua porta è stato Tony Arbolino. “Questo ragazzo è un altro con un talento mostruoso – ha raccontato – Dopo la morte di Marco, quando ho cominciato a pensare che avrei potuto seguire ancora qualche pilota, mi sono detto che il numero perfetto sarebbe stato due. Con due puoi lavorare bene, puoi concentrarti solo sulle loro esigenze e Tony è stato, dopo Enea, quello che mi ha convinto di più”. Il resto è storia recente, con Arbolino che, dopo aver sfiorato il titolo mondiale in Moto3, è arrivato in Moto2 correndo, in questa stagione, per uno dei team di maggior prestigio. Avrebbe dovuto fare da secondo a un certo Sam Lowes, ma le gerarchie nel box si sono subito invertite e, adesso, è arrivata anche la prima vittoria.
In un fine settimana, quello di Austin, che ha segnato una gran bella pagina di motociclismo e che ci ha offerto il fianco anche per una battutaccia: quel Carlo Pernat lì, a 73 anni, ne fa ancora due di fila. E gli altri hanno solo da imparare…o da invidiare.