E così alla fine Marc Marquez non correrà. L’ha spiegato bene ai microfoni di Sky, ieri, nel pomeriggio: la velocità c’era, il passo non era male, considerando anche quanto stesse spingendo, ma il suo corpo a un tratto gli ha lanciato un segnale. Quando è uscito per fare il tempo nella Q1, infatti, è come se a un tratto il suo braccio si fosse addormentato. Niente più forza da un momento all’altro, un po’ di spavento e, soprattutto, la consapevolezza di poter diventare, improvvisamente, pericoloso per sé e per gli altri. Da qui la decisione di rinunciare a correre e di mettersi al lavoro per recuperare il più in fretta possibile, ma in vista di Brno. Una vicenda, quella dell’infortunio e del tentativo di recupero ultra-record di Marc Marquez, che ha messo in luce, ancora una volta, il tratto forse più caratteristico di questo ragazzo, che coinvolge sia la sua dimensione agonistica, sia quella umana: il difficile rapporto con la sconfitta.
Marquez non riesce a perdere. Non ce la fa, è più forte di lui, e sono numerosi gli episodi, nella sua carriera in cui, proprio a seguito di una situazione che lo ha posto, ormai di fatto, nella condizione di non poter più vincere, ha dimostrato di saper gestire molto male questi cambiamenti di programma.
C’è, ad esempio, quella piccola ma sistematica tendenza a non sottostare alle regole che, invece, valgono per tutti, e che si manifesta proprio quando le cose non vanno per il verso giusto - quello, cioè, che ha in mente lui. Solo lo scorso week-end è accaduto per l’ennesima volta che Marquez cadesse e che, nel tentativo di riaccendere la moto, la spingesse contromano con pista aperta.
Ma l’episodio più clamoroso, al riguardo, è di certo ciò che è successo a Termas de Río Hondo, in Argentina, nel 2018, quando Marquez percorse in senso contrario la griglia di partenza, con i suoi colleghi già schierati, dopo aver riacceso a spinta la moto che gli si era spenta, prima di dare vita a una rimonta tanto furiosa quanto irrispettosa di molti suoi colleghi - arrivando pure a stendere Valentino Rossi. Si tratta, apparentemente, di quello stesso eccesso di agonismo spesso bollato come “giovanile”, ai tempi della Moto 2, smussato di poco e soltanto negli ultimi anni, con l’arrivo in MotoGP, che l’ha portato a esagerare domenica scorsa e a forzare in maniera così estrema il tentativo di rientro.
Marc Marquez deve vincere, deve essere il più forte, le cose devono assolutamente andare come vuole lui e, quando ciò non succede, è piuttosto facile facile osservare con quanta difficoltà si ritrovi a gestire la rabbia che questa frustrazione genera in lui. Se fosse un bambino diremmo che è prepotente. E se fossimo i genitori di quello stesso bambino probabilmente cercheremmo di educarlo alla possibilità che la vita non vada sempre nel modo che desideriamo. Marc Marquez si è dovuto arrendere a qualcosa di più grande di lui, ha dovuto prendere atto che, per una volta, le cose andranno in maniera differente da come lui avrebbe voluto. E non ci saranno commissioni giudicanti, medici, giornalisti o avversari da imbonire con un sorriso, nel tentativo di raddrizzare comunque la situazione. Bisogna stare fermi, purtroppo. Bisogna, per una volta, saper perdere, come cantava qualcuno.