L'emotività allertata di Charles Leclerc ha la forma dell'aria pesante, invisibile eppure vivida, facilissima da notare nella sua presenza ingombrante. Gli si blocca sul petto e gli passa attraverso gli occhi grandi, sinceri, dimostrando con i gesti, prima che con le parole, quando la posta in palio raggiunge un livello superiore.
Da Interlagos ad Abu Dhabi il peso di questa presenza si è fatto sentire, restituendoci un Leclerc che sul finale di una stagione di montagne russe emotive ha ritrovato qualcosa per cui lottare. Non il mondiale, in cui ha creduto finché i dati, i risultati e i punti in classifica non lo hanno costretto a smettere di credere. Ma un secondo posto nel campionato piloti che vale il peso di un seme raccolto con successo, di una dichiarazione a gran voce: valgo, sono, posso.
Davanti a me solo Max Verstappen: che è grande, che ha macchina immensa con cui riesce a fare cose incredibili, che è l'avversario di sempre, l'unico con cui vale la pena lottare davvero, quello con cui - lo speriamo tutti - un giorno si accenderà una vera lotta mondiale. Ma tra loro nessuno. Non il compagno di squadra Carlos Sainz, che tra i rumors e le frecciatine rivendica un ruolo di primordine e non sembra voler accettare la posizione di seconda guida in casa Ferrari. Non le due Mercedes, rinate in questa seconda parte della stagione e presenze ingombranti in quella che sarà la lotta per il titolo nel 2023. E soprattutto non Sergio Perez, che tra le mani ha una Red Bull ai limiti della perfezione ma che, Charles lo sa, non brucia del fuoco che domina la vita, e la carriera, del suo compagno di squadra.
E allora nella domenica della malinconia Leclerc e Perez accendono una gara che, per tradizione e struttura, porta alla noia dei finali già scritti. Si inseguono, si controllano, provano a prendersi fino all'ultimo giro. Si battono come se in gioco ci fosse un titolo mondiale e non un secondo posto nella classifica piloti. Lo vogliono entrambi, ognuno lo merita a modo suo, ma a casa può portarlo solo uno dei due. Sono semplicemente belli, belli da guardare in una guerra al ribasso mentre davanti, il leader di tutta la stagione, ha già scritto la sua ennesima vittoria.
Charles grida via radio, si arrabbia con il suo ingegnere che gli parla in continuazione e lo mette a tacere con una Raikkoneniana sentenza: "Lasciami solo, so quello che faccio". La visiera abbassata, il peso sul petto di un'emotività che abbiamo imparato a conoscere, il sorriso leggero che da metà 2022 non gli avevamo più visto addosso.
Vince la sua battaglia Leclerc, conquista un secondo posto che è un miraggio, una speranza ritrovata, una promessa di un futuro più grande per la sua rossa. Enzo Ferrari diceva che "il secondo è il primo degli ultimi" ma non è sempre vero, ci ha insegnato il motorsport. Perché l'Albo d'oro ricorda solo il più grande, il numero uno della griglia, ma gli uomini ricordano le emozioni, i piloti e le squadre le battaglie combattute. Così in una seconda parte di stagione da dimenticare Leclerc regala alla sua Ferrari un giorno di gioia vera, una dimostrazione di talento e intelligenza nella forma di un piccolo miracolo. Il miglior modo per andare in vacanza più leggeri, per crederci guardando al 2023, per ritrovare gli uni negli altri una speranza di futuro che sembrava essersi corrosa.
Il secondo non vince, il secondo non fa la storia. È vero. Ma da quel secondo posto bisogna passare, e dalla rabbia e l'ostinazione di volerlo così come si vuole il successo si vede la stigmate del campione. Il marchio di fabbrica di chi, nella sua battaglia da primo degli ultimi, sarebbe riuscito a far sorridere anche Enzo Ferrari.