Marcus Ericsson in Formula 1 era un’ombra, poco più. E neanche in quello, nel suo essere oscurato da un compagno di squadra fuori dal comune, Ericsson è stato un’eccezione per il circus. La Formula 1 ne ha visti tanti, troppi, di piloti così: comete, stelle cadenti, asteroidi o come volete chiamarli. Personaggi di scena relegati sullo sfondo di una storia fatta di ben altri protagonisti.
Come fai a guardare uno così, a stare attento ai passi falsi e ai problemi della sua carriera, ai lampi di talento o i guizzi di successo, quando a condividere i suoi colori, il suo box e la stessa monoposto, c’è un rookie, campione di Formula 2 e protetto della Ferrari, come Charles Leclerc. Gli occhi guardano alla stella più luminosa, mai a quella accesa solo un attimo.
È la legge più dura di uno sport che ti chiede tutto, fin dall’inizio, quando ancora non hai niente: dedizione completa e sacrificio economico, fortuna e occasioni giuste, nessun errore, niente ripensamenti, dubbi, passioni collaterali e perdite di tempo. Ti chiede tutto e quando, in cambio, ricevi qualcosa, emergere è l'unico modo per sopravvivere. Marcus Ericcson in Formula 1 ha navigato dal 2014 al 2018, collezionando un totale di 18 punti divisi in due stagioni: 9 nel 2015 e 9 nel 2018, nella sua ultima stagione, quella al fianco di Charles Leclerc.
Nove punti non sono sufficienti però, a mantenere il sogno. A nutrirlo di sponsor e di fans, di attenzioni e carezze. Nove punti non sono abbastanza per dare ossigeno al sogno di una vita intera. E così inizia l'incertezza, la discesa, il cambiamento. Quello che per alcuni è la fine, per altri è solo l'inizio. Dipende tutto, come sempre e come in ogni ambito, dalla prospettiva.
È la storia di Marcus Ericcson che, dopo essere stato ombra, è diventato stella. Ha vinto la 106esima edizione della gara più iconica della storia del motorsport, la 500 miglia di Indianapolis, proprio il giorno della grande sconfitta di quell'ex compagno di squadra che ne aveva completamente oscurato il percorso in Formula 1 nell'anno decisivo per restare nel circus. Ha vinto lì dove vincere è entrare di diritto nella leggenda di una gara che non è mai stata, e mai sarà, solo una competizione. Dalla corona di alloro al latte bevuto, buttato, sognato. La 500 miglia di Indiapolis, proprio come il Gran Premio di Monaco e la 24 Ore di Le Mans, sono pezzetti di una storia fatta per restare che, della rinascita sportiva di Ericcson e di molti altri prima di lui, ci insegna solo una cosa: la passione, quella vera, se coltivata con dedizione e dolorosa ostinazione, è destinata a vincere su tutto. Ombra compresa.