Siamo a fine agosto, Milano ha ancora addosso il sudore dell'estate ma il Milan, più che sudare, sanguina. Esordio in campionato: 1-2 con la Cremonese, rovesciata da copertina di Bonazzoli e fischi impietosi dei tifosi (senza ultras). Allegri torna sulla panchina rossonera e si prende la prima doccia fredda della stagione: “Se non percepiamo il pericolo perdiamo contro chiunque”. Che poesia. Poesia tragica, però. Nel frattempo il casting dell'attaccante è diventato una miniserie Netflix: prima puntata, Victor Boniface. Arriva, fa le visite, la trama deraglia. Il club si tira indietro dopo gli esami approfonditi e il nigeriano torna al Leverkusen. Niente obbligo, niente opzione: solo tanti dubbi su una tenuta fisica che a Milanello hanno preferito non sfidare. Il “pacco” del titolo non è cattiveria: è la sensazione di aver scartato un regalo già incrinato. Si cambia canale. Seconda puntata: Conrad Harder, classe 2005 dello Sporting. Un attaccante che non è un attaccante: più zanzara che boa, più pressing che area piccola, più “ti corro addosso” che “ti inchiodo sul dischetto”. Il Milan tratta a cifre serie - chiude a 24 milioni più 3 di bonus e percentuale sulla rivendita - ma mentre i club si parlano, il ragazzo guardava anche la Francia, perché il Rennes gli strizzava l’occhio con il suo laboratorio per under di lusso. Non è un “done deal”: è un work in progress, con le virgolette ben strette.

E qui nasce l’equivoco tecnico-tattico che fa impazzire i bar sport (i tifosi sui social): Allegri vuole il centravanti “di razza”, uno che la butta dentro con mestiere, fisico e cattiveria. Traduzione simultanea: Vlahovic. Il problema? Costa, parecchio, ed è tornato a segnare con la Juve. Intanto la società - quella che a parole ha un occhio al bilancio e uno al futuro - ha spinto per il profilo da plasmare. Harder, appunto. Due linee parallele che non si incontrano se non all’infinito, cioè a settembre, quando il mercato è finito e i gol o li hai o non li hai. Da qui al ritrovarsi con una “società spaccata” il passo è breve. Davvero è così? Dipende da chi ascolti. Giorgio Furlani ha presentato Igli Tare come l’uomo giusto al posto giusto, e Allegri come il pilastro tecnico del nuovo corso: ufficialmente, tutti sulla stessa barca, remi sincronizzati, Ibrahimovic a fare da intermediario della proprietà. La governance dice: Tare fa le trattative, Allegri indica il profilo, Furlani decide. È chiaro. Poi però perdi con la Cremonese, ti salta Boniface, ti sfugge pure Vlahovic e prendi Harder che non è il nove dei sogni.

Nel day-after della sconfitta, a Casa Milan si vede un via vai da film di Sorrentino: Allegri, Tare, porte che si aprono e si chiudono, riunioni “operative” e facce da “ok, ricominciamo da capo”. Segnali di scollamento? O semplicemente la realtà di un club che prova a tenere insieme risultati immediati e progetto? Scegliete voi l’etichetta, ma il dato è che il tavolo di mercato è caldo e la priorità è sempre la stessa: trovare un attaccante che faccia gol adesso. Il profilo Harder divide perché è un manifesto ideologico. Se lo prendi, la dichiarazione d’intenti è: pressi alto, giochi verticale, chiedi agli esterni di segnare e al “nove” di fare il collante. È un calcio moderno, certo, ma ci vogliono automatismi e, soprattutto, tempo. Il tempo che a San Siro non esiste. Con Harder fai contento il progetto; con un Vlahovic qualsiasi fai contenti i tabellini. E se ti mancano i gol - e dopo Cremonese il verdetto è questo - la scelta diventa politica prima che tecnica. La verità sta in mezzo, come sempre. Oggi il Milan è un ibrido: Allegri che predica pragmatismo e solidità, Tare che prova a limare i conti e scovare valore, Furlani che tiene la rotta e difende l’idea di un club sostenibile. Se Harder arriva e “pizzica” subito - moscerino per i difensori, antizanzare per la curva - la storia cambia. Se invece arriva e fatica, il dibattito esplode: perché non un attaccante già fatto? Perché puntare su un 20enne quando il rumore di fondo era già insopportabile? Nel frattempo, una certezza: questo Milan non può permettersi un altro settembre da fiction noir. Il calendario non aspetta, l’umore di San Siro nemmeno. Servono gol rapidi, idee chiare e una gerarchia che smetta di sembrare un tavolo con tre registi e un solo protagonista. Allegri può essere quel protagonista, ma il casting dell'attaccante andava chiuso ieri. Con coerenza. Perché il mercato, alla fine, è come una band: puoi avere i migliori turnisti del mondo, ma se il cantante stona, il pubblico ti fischia. Per ora la scaletta dice: Boniface annullato, Harder confermato, Vlahovic sogno ricorrente. Ma la domanda non è “chi arriva?”, ma “che Milan vuoi?”. Se scegli l’incognita, devi proteggere l’incognita. Se scegli la certezza, devi pagarla. In entrambi i casi, c’è un solo risultato accettabile: mettere la palla dentro. Il resto - “spaccature”, “linee diverse”, romanzi estivi - sparisce ai primi gol (se arriveranno). E se proprio volete un cliffhanger: Harder è il personaggio perfetto. Ma occhio, in questa serie lo spoiler è sempre dietro l’angolo.
