Uno come Alessandro Barbero direbbe che studiare il passato serva a comprendere il presente. In qualche modo è anche Marc Marquez a darci prova di questo vecchio adagio, perché la storia - in effetti - sembra ripetersi uguale a sé stessa anche in MotoGP.
Torniamo indietro di una dozzina d’anni: Marc arriva in Honda nel 2013, quando la RCV213 era la moto da battere, una macchina perfetta con i giapponesi a guidare lo sviluppo con innovazioni come il cambio seamless, una intuizione a cui gli altri dovettero adeguarsi, in rincorsa. Marc vince il primo dei suoi sei titoli mondiali nella classe regina grazie soprattutto al supporto di HRC, che gli offre un mezzo micidiale e una squadra piena d’esperienza. Col passare degli anni però, la percentuale di merito tra mezzo tecnico e pilota si sbilancia sempre più dalla parte di quest’ultimo, al punto che quando Marc si ritrova a casa con un braccio massacrato dalle cadute la Honda comincia a sparire, sprofondando in una crisi da cui si deve ancora riprendere.

Certo, Ducati non ha il destino segnato in questo senso. Eppure, a vedere la classifica del GP d’Ungheria, la grossa suggestione che ci passa davanti agli occhi è una: negli ultimi tre anni vinceva Ducati, adesso vince Marc Marquez. Lui che guida una Ducati, sì, non Ducati soltanto però. Dal 2022 al 2024, guidare una Desmosedici significava avere altissime probabilità di finire sul podio, di avere un mezzo incredibilmente determinante per il risultato. Oggi non è più così: sul podio di Balaton Marc ci è salito in compagnia di Pedro Acosta (KTM) e Marco Bezzecchi (Aprilia), a cui sono seguite l’altra Aprilia di Jorge Martín e la Honda di Luca Marini. A Borgo Panigale mettono tre moto nei dieci, il che sarebbe un risultato meraviglioso se non fosse un netto passo indietro rispetto al passato. Di fatto qualcosa è cambiato.
Marc è entrato in Ducati che aveva bisogno della moto per vincere e adesso - o almeno la tendenza è quella - è Ducati ad aver bisogno di lui: senza, nelle ultime gare sul podio ci sarebbero stati altri piloti con altre moto.
Va detto che le Ducati in pista adesso sono sei e non più otto come l’anno scorso, il che ha un impatto anche sulla raccolta dati (e quindi sulla competitività della Desmosedici), che Dorna sta facendo il possibile per ridimensionare i bolognesi, che in campionato i primi tre posti sono (ancora) occupati da tre desmosedici e, soprattutto, che Gigi Dall’Igna ha comunque fatto la scelta giusta: questo Marc Marquez è un accentratore e i bolognesi rischiano di ritrovarsi, fra quattro o cinque anni, come la Honda nel 2023 o la stessa Ducati nel 2009, dopo l’addio di Casey Stoner? Può darsi, ma non possiamo saperlo. Possiamo immaginare con grande chiarezza cosa sarebbe successo se Marc Marquez avesse deciso di firmare con Aprilia o con KTM: avrebbe vinto con loro. Meglio, quindi, prenderlo anche rischiando un po’ di assuefazione.
Nel frattempo i piloti Aprilia dovranno essere bravi e svelti ad approfittarne in quest’ultima parte del campionato, che storicamente è sempre stata la più complicata per loro.