Comincia stasera la Serie A dell’Inter di Christian Chivu, contro il Torino. I nerazzurri giocano la prima a San Siro, davanti ai propri tifosi, o almeno davanti a coloro che sono riusciti ad acquistare il biglietto o l’abbonamento. Non tutti, però, hanno potuto farlo. Infatti il campionato dell’Inter comincerà senza molti dei membri storici di curva Nord a sostenere la squadra: gli ultras resteranno fuori dallo stadio in segno di protesta. Lo avevamo detto, ora è ufficiale: “Mentre la nostra Inter si prepara a riprendere il cammino in campionato, noi, la sua gente, ci troviamo costretti ad affrontare un'altra annata all'insegna di abusi, divieti e restrizioni. La campagna abbonamenti si è rivelata un fallimento totale”. Così comincia il comunicato dei gruppi della Nord diffuso via social da Nino Ciccarelli, leader dei Viking. “Oltre all'ennesimo aumento ingiustificato dei prezzi, siamo stati colpiti dalle famigerate blacklist” - leggiamo ancora nella nota - “decine di ragazzi appartenenti ai gruppi non hanno potuto rinnovare il proprio abbonamento, senza alcuna motivazione valida” Molti di loro (la maggioranza) sono incensurati, privi di qualsiasi pendenza legale. La loro unica ‘colpa’? Seguire con costanza e passione la squadra, ovunque giochi, in casa e in trasferta, in Italia e in Europa. Persone che dedicano tempo, energie e denaro all'Inter, oggi escluse dal proprio posto allo stadio”. Niente da fare, la situazione è ancora ferma a dov’era settimane fa. Al momento restano le restrizioni predisposte da società, Procura e Questura nei confronti di alcuni ultras della Nord.

Il comunicato prosegue così: “Tutto questo viene ormai considerato normale. Dopo approfondite riflessioni e confronti interni, abbiamo deciso che è giunto il momento di cambiare rotta. La scorsa stagione ci siamo fatti in quattro per tenere in vita il tifo organizzato, arrivando persino a lottare per far entrare allo stadio una semplice bandiera nerazzurra. Volete uno stadio-teatro? Tenetevelo. Da oggi, i gruppi organizzati della curva Nord rimarranno fuori dal Meazza fino a data da destinarsi”. Chivu in conferenza stampa aveva mandato segnali confortanti, che sembravano preannunciare una risoluzione di questo conflitto che va avanti ormai da settimane. Il messaggio degli ultras, invece, va nella direzione opposta: loro a San Siro non entreranno fino “a quando tutti i nostri ragazzi non potranno tornare allo stadio come ogni altro tifoso. Fino a quando i nostri striscioni non torneranno in transenna. Fino a quando le nostre bandiere non torneranno a sventolare libere. Fino a quando le coreografie non potranno di nuovo colorare la nostra curva. Fino a quando San Siro non tornerà a essere uno stadio a misura d'uomo, e non un luogo blindato, ostaggio di repressioni e divieti. Fino a quando i prezzi dei biglietti non torneranno ad essere accessibili e sostenibili per chiunque volesse assistere a una partita dell'Fc Internazionale”.

Ancora i gruppi sottolineano che non si tratta di chiedere “privilegi”, bensì di avere “quello che, in qualsiasi stadio d'Italia e d'Europa, è la normalità. Questa battaglia non è solo nostra. È una battaglia per il futuro di questa tifoseria. Per tutti quei bambini che oggi crescono in uno stadio freddo, senza colori, senza striscioni, senza il boato della curva, privati dell'emozione di una coreografia”. È un comunicato lungo, che parla certamente al club e alle istituzioni ma anche al popolo nerazzurro in generale: “Stiamo lottando affinché tutti possano vivere quell'esperienza unica che ha fatto innamorare intere generazioni di tifosi. Perché il tifo non è solo passione: è cultura, identità collettiva, è memoria da tramandare e custodire di generazione in generazione. Sarà una battaglia lunga, forse logorante. Solo con il sostegno dell'intero popolo interista potremo vincerla”. Nei giorni scorsi sono stati tanti i tifosi - non solo ultras – a schierarsi con la curva, contro uno stadio-teatro, luogo per turisti privi di senso di appartenenza. E ora, i gruppi della Nord si ritrovano “soli contro tutti: una costante nella storia del tifo interista”. Ora, però, gli ultras hanno deciso di “alzare la testa contro questo sistema repressivo e distorto, che penalizza chi ama la squadra con dedizione e spalanca le porte al tifoso occasionale”. E qui sì che i toni contro il club e la dirigenza diventano più duri: “Il progetto è chiaro: soldi al posto della passione, burattini al posto dei tifosi”.

“Siamo perfettamente consapevoli che, per molti, questa decisione di restare fuori dallo stadio possa apparire incomprensibile”, concludono gli ultras, “Ma proprio a voi rivolgiamo un appello: non siate complici. Se comprendete anche solo in parte le nostre ragioni, non intonate cori, non sventolate bandiere, non esponete alcun vessillo nerazzurro. Invitiamo tutti i club, ennesime vittime della burocrazia di questo sistema marcio, a non esporre i propri striscioni. Un Meazza spoglio, grigio e silenzioso, farà molto più rumore di qualsiasi coro”. L’appello, quindi, è rivolto a tutti, anche ai club nerazzurri: se qualcuno viene escluso, nessuno deve tifare. “Se proseguiremo su questa strada, non resterà nulla di ciò che rendeva San Siro il nostro fortino. Vogliamo indietro lo stadio infuocato che faceva tremare le gambe di chiunque ci mettesse piede. Tutti coloro che volessero unirsi a noi sono chiaramente i benvenuti”. Il ritrovo fisso è al Baretto, come sempre. “Lì ci ritroveremo e rimarremo prima durante e dopo tutte le prossime partite”.
