“Chiamami dopo le 14,30, sto in moto adesso” – Quando Nico Cereghini ti risponde così ti scordi quasi il motivo per cui l’hai chiamato. Perché ti riviene su tutto quello che sognavi da bambino che voleva fare quel lavoro lì che faceva quel tipo lì con la barba e vorresti chiedergli con che moto fosse in giro, a quanto sta andando, se è sull’asfalto o sulla terra. Che casco indossa, che ne pensa della moto, se spinge o passeggia. Poi ti ricordi pure che nel frattempo sei diventato adulto, che lavori per il fratello irriverente di moto.it, e che un minimo di contegno ci vuole. E soprattutto ti ricordi che il motivo per cui l’hai chiamato è anche di quelli tristi. Già, perché è di Leando Becheroni che dovrebbe raccontare. Chi è? E’ stato un pilota di quegli anni lì in cui le corse in moto erano pelle da rischiare a ogni curva, più o meno come adesso, solo che senza via di fuga e con le tasche pure belle vuote. “E’ stato” perché Leandro Becheroni è morto l'altro giorno a Calenzano, nel suo famoso ristorante a due passi da Mugello, probabilmente vittima di un malore improvviso. Aveva 73 anni.
“Eravamo amici – racconta Nico – nonostante in pista non è che ci fossimo incontrati tantissimo, perché lui iniziava e io smettevo. Però ci siamo visti, e tanto, fuori dalle tute. Anche lo scorso anno, in una di quelle classiche giornate in cui noi anzianotti del motomondiale organizziamo ogni tanto. Eravamo proprio nel suo ristorante, Gli Alberi, a Calenzano”. Vita normale, quindi, e ricordi tanti di una vita passata a gas aperto anche dopo aver tolto il casco. “Lui – racconta ancora Nico – per un po’ era rimasto nel giro. Di fatto aveva scoperto Alex Gramigni, è stato Leandro a aiutarlo all’inizio e a portarlo nel mondiale. Poi s’è dedicato sempre al suo ristorante, a due passi dal Mugello, facendolo diventare un po’ il ritrovo di tutti quelli che gravitano con qualche ruolo intorno al motomondiale. Non me l’aspettavo, ci sono rimasto male davvero per questa notizia. Era stato anche campione europeo e quelli erano anni in cui per arrivare dovevi fare una fatica bestiale. Perché non è come adesso: all’epoca c’erano moto estremizzate, con motori due tempi che di capricci ne facevano parecchi, ma soprattutto era diverso il modo di arrivare. Anche alle gare del mondiale, di fatto, poteva iscriversi chiunque, poi però c’erano le selezioni da fare e era il cronometro a decidere se meritavi o meno di arrivarci. Leandro c’era arrivato, anche lui con una Suzuki 500. Erano moto che ti potevano permettere anche di fare bene, ma certamente gli ufficiali potevano contare su gomme, lubrificanti o benzine che performavano molto di più. Però ci si arrangiava, dai. E magari era bello anche per quello”.
Se ne è andato, quindi, un altro testimone di quel tempo delle corse in cui tutto aveva una dimensione più umana, tranne, probabilmente, il rapporto con il rischio, visto che quello era tanto al limite del disumano. “Però non mi piace e probabilmente non sarebbe piaciuto neanche a Leandro – dice Nico – che si dica che prima era meglio. Prima era prima e adesso è adesso. Lo spirito è lo stesso, semplicemente sono altri i tempi e sono altri i mezzi. E, per fortuna, è un’altra anche l’attenzione alla sicurezza. Prima era un po’ tutto pane e salame. A proposito di salame, Leandro era un grande amico di Mike Trimby. Oggi Timbry è l’ad dell’IRTA, ma un tempo, anche se si fa fatica a dirlo vista la sua stazza, era un pilota e aveva un ottimo rapporto con Leandro. Tanto che quando la MotoGP arrivava al Mugello, ultimamente, Leandro si armava di olio buono toscano e un paio di salami di quelli speciali che fanno da quelle parti e andava a trovare il vecchio amico che, per contraccambiare, gli rimediava un pass per vedersi il gran premio”.