È difficile mostrare al resto del mondo che non sei uno dei campionati più razzisti in circolazione, quando si verificano episodi come quello di Inter-Napoli di domenica sera. Proprio nel turno di campionato dedicato alla lotta contro il razzismo (il 21 marzo cade la Giornata internazionale per l'eliminazione delle discriminazioni razziali), il difensore dell’Inter Francesco Acerbi sembrerebbe aver rivolto un insulto razzista all’avversario Juan Jesus. Una notizia diventata immediatamente virale sui social subito dopo la fine della partita, anche al di fuori del nostro paese.
Se l’insulto ci sia effettivamente stato, lo dovrà appurare la FIGC, ma gli indizi puntano tutti in quella direzione. Un video mostra Juan Jesus a colloquio con l’arbitro La Penna, indicando verso Acerbi e lamentando di aver ricevuto un insulto razzista: il labiale del brasiliano appare abbastanza inequivocabile, e il fatto che sottolinei la sua denuncia indicando il logo della campagna antirazzista presente sulla propria maglia avvalora ulteriormente la tesi. La Penna ha poi richiamato Acerbi a colloquio, senza però nemmeno ammonirlo. E nel post-partita, ai microfoni di DAZN, Juan Jesus ha chiarito che l’avversario era andato “un po’ oltre con le parole”, ma che poi si era scusato.
È comprensibile che il difensore del Napoli voglia mettersi alle spalle questa situazione, di certo non piacevole, ma qui entrano in gioco le istituzioni del calcio italiano. Se davvero venisse appurato l’insulto razzista, è possibile lasciar correre tutto con delle semplici scuse in campo? Anche perché Acerbi è un giocatore della nazionale, convocato per le amichevoli dell’Italia di queste due settimane e probabilmente nella rosa che in estate difenderà il titolo europeo in Germania. Quando gli insulti razzisti provengono dagli spalti, si procede alla chiusura di interi settori dello stadio e, se i responsabili vengono identificati, al Daspo di cinque anni (una recente proposta del PD parla anche di aumentare questo provvedimento a 10 anni): è accettabile che, quando invece l’insulto provenga da un noto calciatore, si possano evitare le sanzioni?
La questione è dunque in mano al Giudice Sportivo e, più generale, alla FIGC, alla Lega di Serie A e alla stessa Inter, che ancora non si è espressa sull’argomento. Nel mirino ci dovrà essere anche l’operato dell’arbitro La Penna, a cui l’insulto razzista è stato riferito da Juan Jesus: come scrive Andrea Ramazzotti sulla Gazzetta dello Sport, se Acerbi ha ammesso di aver usato quell’espressione, anche se poi si è scusato, andava obbligatoriamente espulso. Ma in generale le istituzioni del calcio italiano dovrebbero riflettere seriamente sul senso di queste iniziative, che rischiano troppo spesso di sembrare prese di posizioni ipocrite e di facciata, e di non produrre altro risultato che sminuire la lotta al razzismo. Lunedì mattina, per capirci, il presidente dell’Assocalciatori Umberto Calcagno è intervenuto avvertendo di “non strumentalizzare questo episodio”.
La campagna dello scorso turno di campionato consisteva nell’utilizzo di uno slogan, di un adesivo speciale sulle maglie dei giocatori, e negli allenatori che si limitavano a leggere un messaggio standardizzato nelle interviste del post-partita. Messaggio che neppure sempre è stato letto: domenica, dopo il deludente pareggio in casa col Genoa, l’allenatore della Juventus Massimiliano Allegri si è dimenticato di farlo, e quando la giornalista Giorgia Rossi gli ha dato la parola per leggere il messaggio il livornese ha risposto che non aveva altro da dire. Chiaramente una dimenticanza, dovuta alla delusione del risultato (poco prima, ai microfoni di Sky Sport, Allegri lo aveva invece letto), ma che dimostra quanto questi rituali siano vuoti. Dice bene Mirko Calemme, corrispondente dall’Italia della testata spagnola As: non sarebbe il caso di far dire agli allenatori un pensiero loro sul tema del razzismo, dato che parliamo di uomini adulti e dotati di sufficiente cervello per farsi un’idea su quel che accade nella nostra società?
Un problema che non riguarda solo l’Italia, anche se la Serie A ha saputo segnalarsi per fare peggio degli altri. Sempre domenica, pure in Spagna si è svolta una simile iniziativa contro il razzismo, con le squadre che sono state chiamate a posare dietro un cartellone con lo slogan della campagna e vestendo delle magliette speciali. Lo hanno fatto tutti, tranne il Barcellona, i cui giocatori hanno posato con la propria maglia ufficiale accanto a quelli dell’Atlético Madrid (che indossavano invece la divisa prevista). Il motivo? La maglia antirazzista della Liga spagnola recava anche il logo dello sponsor del campionato, EA Sports FC, ma siccome il Barcellona ha un accordo commerciale con la rivale Konami non poteva vestire la casacca speciale. Anche il Real Madrid aveva un simile conflitto di sponsor, ma sabato è comunque sceso in campo con una propria maglietta contro il razzismo, per ribadire lo stesso il proprio sostegno alla campagna. Ovviamente non ci sarà alcuna sanzione nei confronti del club catalano, perché prima ancora della lotta al razzismo il calcio europeo deve assicurarsi di vincere quella contro la mancanza di fondi.