C’è qualcosa che non va in questo cielo. Cantava così tanti anni fa un agguerrito Vasco Rossi e l’incipit di quella canzone viene in mente pensando alla situazione in casa Honda HRC dopo queste prime settimane di mondiale. Il “qualcosa che non va” è un po’ tutto, il cielo, invece, è quello del 2020: un anno che pare essere già da dimenticare nonostante sia appena cominciato per HRC. Lasciando stare i problemi in Superbike, con l’Honda Racing Team che si ritrova già a fare i conti con un pilota che ha bollato la moto come “non competitiva”, a tenere banco in queste ore è natrualmente la MotoGP. Perché è di ieri la notizia che Marc Marquez è dovuto nuovamente finire sotto i ferri, per sostituire la placca in titanio che gli era stata applicata meno di tre settimane fa, in seguito all’infortunio di Jerez. Marc Marquez, a meno di clamorosi e improbabili colpi di scena, salterà il Gran Premio della Repubblica Ceca, previsto per questo fine settimana a Brno e mancando Marc Marquez rischia di mancare anche la Honda, tanto dal podio, quanto dalle inquadrature che contano: quelle che, in un mondiale senza pubblico, si traducono in unica fonte di visibilità per sponsor e investitori.
Per altro, dopo il tentativo di essere in pista al GP di Andalusia, lo stesso Marquez aveva rilasciato una dichiarazione che in quel momento era quasi passata sotto traccia: “Ho dovuto litigare fortemente con Honda per poterci provare”. Ora, ammettendo che sia vero, se Honda aveva dei dubbi sull’opportunità di forzare i tempi di recupero, perché ha dato l’ok al pilota? Fino a prova contraria nelle dinamiche di una azienda comanda e decide chi paga e Marquez, in Honda, è quello pagato. Eccesso di democrazia, verrebbe da dire. Ma non è così. È stato, semmai, un eccesso di strapotere. Non di Marquez - lo ripetiamo in tutte le lingue del mondo e con convinzione assoluta - ma del reparto corse dell’azienda giapponese.
Una azienda convinta di avere una moto totalmente superiore e una struttura, intorno al suo campione, in grado di metterlo in condizioni di vincere anche con un braccio solo. Ma se i limiti industriali dipendono solo dai soldi (con Honda che in questo senso non ha un problema), quelli umani, purtroppo, non sono superabili. Nemmeno se sei Marc Marquez, nemmeno se sei Honda, nemmeno se sei Marc Maquez e Honda messi insieme. Certo, la sfortuna ha giocato il suo beffardo ruolo, ma se un pilota si comporta, giustamente, da pilota, un direttore d’orchestra non dovrebbe limitarsi ad assecondare il solista. Altrimenti ne esce il suono del silenzio. Quello assordante che si prospetta per Honda per il lasso di tempo in cui Marc Marquez sarà fuori dai giochi. Con Alberto Puig che, poi, si ritrova ad affermare assurdità (costringendo a delle precisazioni lo stesso pilota) come: “Senza Marquez chi vincerà il mondiale non sarà campione al 100%”. Che sportivamente è una affermazione inascoltabile e, aziendalmente, è una triste ammissione che suona così: senza Marquez non sarà Honda a vincere.
Vero è che, ormai, se Marc Marquez si rimetterà in fretta non sarà Honda a vincere, non solo il mondiale, ma neanche qualche gara. Ma la colpa non è certo sua, quanto piuttosto è di chi si è fregato da solo, con un team HRC che ci si ritrova adesso ad avere un Alex Marquez caricato di ogni responsabilità e privo del confronto diretto con il fratello - di certo utile anche per la sua crescita. Un rookie su cui dover puntare tutto, insomma, nonostante la stessa azienda lo abbia già scaricato quando il mare non era in tempesta, indirizzandolo verso il team satellite, per il prossimo anno, e preferendogli Pol Espargarò, senza che abbia neppure avuto modo di giocarsela in una vera e propria gara.
Una situazione analoga a quella vissuta da Cal Crutchlow, un altro a cui Honda ha già dato il benservito e che, invece, adesso, è l’unico che per esperienza e talento può forse costituire l’ancora di salvezza di una stagione che rischia di essere già compromessa. O di esserlo fin quando non tornerà Marc Marquez.