Juan Manuel Correa è un esempio di forza e dedizione senza eguali, nel mondo del motorsport. Il pilota statunitense classe 1999 nel 2019, a soli vent'anni, era una giovane promessa della Formula 2 con un solo sogno: arrivare il prima possibile a realizzare il suo obiettivo e correre finalmente in Formula 1.
Le cose però sono cambiate per sempre durante il weekend di gara di Spa, dove un incidente ha cambiato la sua vita, i suoi sogni e le sue speranze per il futuro: durante la Feature Race di Formula 2 un terribile impatto ha ucciso il suo collega e amico Anthoine Hubert e ha quasi portato via anche Correa che, nei mesi successivi, è riuscito a uscire dal coma, ha sopportato più di 20 operazioni alle gambe, entrambe fratturate, si è rimesso da une leggera lesione spinale e ha rifiutato il consiglio dei medici che volevano amputare il piede destro, in modo da non rischiare infezioni. Correa ha detto no: voleva guarire e voleva farlo per un motivo preciso. Avere la possibilità, un giorno, di tornare a correre.
Ci si è attaccato come si può fare solo con le speranze e alla fine ce l'ha fatta: prima in Formula 3, poi in alcune gare di Formula 2 e da quest'anno a tempo pieno di nuovo lì dove il suo percorso si era interrotto.
Oggi però, tornato in pista e pieno di voglia di fare e dimostrare, Correa si apre a un lungo sfogo su quei mesi difficili, parlando del silenzio della FIA che non lo avrebbe aiutato in nessun modo: "Se devo essere sincero, non ho sentito per niente la vicinanza - ha spiegato nel corso di una puntata del podcast Track Limits - Ero solo con la mia famiglia, i miei amici, la mia gente. Ma non c’era alcun supporto da parte della FIA. È stato piuttosto brutto e triste, ad essere onesti. È stato triste perché mi sono sentito quasi usato: quando sei lì a fare spettacolo, va tutto bene, sono i primi a beneficiarne. Non voglio entrare nel merito perché c’è un conflitto di interessi, gareggio di nuovo in Formula 2, ma c’era un po’ di quella sensazione. Dirò solo che sono stato molto, molto fortunato ad avere determinate persone vicino ad aiutarmi. Non c’era il sistema di supporto che avrebbe dovuto esserci da parte dell’organizzazione. Ora sono migliorati, penso che abbiano capito un po’ di cose dal mio incidente. Ho avuto alcune conversazioni con loro a questo proposito. A volte però non è facile cambiare un’organizzazione così grande: hanno un sacco di cose da fare. Ma sì, se domani qualcuno avesse il mio stesso incidente, sarei lì per lui come nessuno è stato lì per me, perché so di cosa avrebbe bisogno".