Marco Rigamonti conosce Ducati da quando è entrata in MotoGP, anzi: ha lavorato per farcela arrivare. Negli anni è stato con i piloti che hanno tracciato la storia del marchio e, quando non è successo, se li è trovati dall’altro lato del box, con i dati della telemetria a disposizione. Ora, per il 2023, dopo aver lavorato come capotecnico di Johann Zarco in Ducati Pramac è tornato nel team ufficiale a fianco di Enea Bastianini, col quale sembra aver già trovato un buon feeling. Rigamonti, prima di partire per i test di Portimaõ, si è concesso a Gregorio Allievi per una lunga intervista su Slick, probabilmente il miglior cartaceo in Italia per leggere di corse in moto. L’ingegnere parla di tutto, dagli inizi in Ducati ai limiti del suo pilota di oggi. Se per il titolo non si può che puntare alla sua visione su Marc Marquez, nella sua lunga chiacchierata Marco Rigamonti non è mai noioso o scontato, come quando fa scendere Casey Stoner dal piedistallo: “Era un fenomeno, talento puro, ma per la vittoria del mondiale nel 2007 bisogna considerare anche che già nel 2006, ultimo anno dei 1000cc, Capirossi si giocò il Mondiale”, ricorda Marco. “La moto – Capirossi e Bayliss su Ducati Ufficiale, Hoffman e Cardoso su Pramac – era abbastanza competitiva con tutti. Dall’anno successivo, con il passaggio agli 800cc, il motore Ducati aveva un grosso vantaggio rispetto alla concorrenza e con il talento di Casey si è potuto capitalizzare”.
Un paio d’anni più tardi, invece, è stato il turno di Valentino Rossi. Anche qui, Rigamonti ci restituisce una lettura diversa che solo chi ha visto il box dall’interno saprebbe raccontare: “Un disastro contrariamente alle aspettative. Per spezzare una lancia in favore di Valentino, il vantaggio del motore Ducati era andato via via scemando nel corso degli anni già prima del suo arrivo, assottigliando il gap che separava gli avversari e mettendo in risalto i limiti della moto: sebbene Stoner riuscisse ancora a vincere, il passaggio al monogomma Bridgestone nel 2009 fu il colpo di grazia. Se prima potevi sopperire ad alcuni problemi di ciclistica cambiando solamente la specifica di gomma, dal 2009 le gomme eran le stesse per tutti, e i problemi risultavano sempre più evidenti, tant’è vero che lo stesso Casey iniziò a faticare. Con l’arrivo di Valentino e il passaggio di Stoner a Honda nel 2011, tutti questi problemi, semplicemente, vennero a galla”.
Come esempio, Marco racconta un particolare piuttosto indicativo sul primo turno di Valentino durante i test a Valencia 2010: “Durante gli anni di Stoner, media e avversari elogiavano il nostro sistema “anti-wheeling” e noi, in quanto impiegati Ducati, ci limitavamo a compiacerci di queste lodi. La verità, però, era un’altra e con l’arrivo di Rossi saltò fuori: tornato ai box dopo la sua prima uscita, Valentino chiese ai meccanici come mai fosse stato disattivato l’anti-wheeling, per poi scoprire che, in realtà, questa tecnologia su quella moto non era mai esistita. Le carenze della moto, poi, si traducevano con i risultati in pista, già dai primi test di Valencia nel 2010: basti pensare come nell’ultima gara – corsa qualche giorno prima sullo stesso circuito – Stoner con Ducati ottenne la pole position e arrivò poi secondo in gara. Nella prima giornata di test invece, mentre Stoner era sempre primo, in sella alla Honda però, Rossi su Ducati vagava intorno alla quindicesima posizione”.
Quindi chi è stato il migliore, tra loro due? “Valentino aveva una testa straordinaria: era capace di mettere in difficoltà tutti, anche chi era più forte di lui”, la risposta di Marco. “Casey aveva un talento eccezionale nella guida, più di Valentino, ma faticava a reggere la pressione: ogni volta che si piazzava in griglia di partenza aveva la nausea, l’ansia lo mangiava vivo, voleva andare a casa. Anche questo lo ha portato al ritiro. Più forte di loro secondo me c’è solo Marquez, perché è l’unione perfetta dei due: Marc unisce al talento di Stoner, la tenuta mentale di Rossi”.
Quando gli viene chiesto di Enea Bastianini infine, lui racconta di un pilota concreto, semplice, molto diverso dall’Andrea Iannone con chi ha lavorato a lungo: “Abbiamo avuto modo di passare del tempo insieme nei giorni tra la gara di Motegi e quella di Philip Island, prima del test di Valencia di novembre: il lavoro da fare durante quei turni era già stato pianificato, perché Enea veniva da un ottimo weekend qualche giorno prima e le due moto – quella con cui ha gareggiato e quella che ha provato nel test – cambiavano molto poco, quindi già avere queste sicurezze e riuscire da subito a girare su tempi buoni, da più serenità. Una situazione completamente diversa da ciò che avviene nei weekend di gara, ma le prime sensazioni sono state sicuramente positive: è un ragazzo giovane e, a differenza di altri, è molto “pane e salame”, poco montato. Ha sempre piacere a mangiare tutti insieme, vuole creare il gruppo, aspetto molto positivo. Vedremo come inizierà il campionato e se arriveranno i risultati: purtroppo questi sono fondamentali nella creazione del rapporto tra il capotecnico e il pilota. Nonostante il modo di lavorare sia lo stesso, sia che tu vinca, sia che tu finisca ultimo, quello che conta, alla fine, è sempre solo il risultato che porti a casa. Poi possono esserci casi di piloti con cui riesci a creare un bel rapporto a prescindere dai risultati, ma l’importante è sempre quello. Nel caso di Enea sarà fondamentale vedere come gestirà la pressione: se lo scorso anno, senza alcuna pressione né aspettativa, è riuscito a vincere quattro gare e arrivare secondo in altre due, nel Team Gresini, ora che si trova nel team ufficiale bisogna vedere come si comporterà”.