Un quarto di secolo, le nozze d’argento, un venticinquennio, insomma, chiamatelo un po’ come volete. È passato un po’ di tempo da quel marzo del 1996 quando quel ragazzino con i riccioli e l’accento marcatamente romagnolo salì per la prima volta su un’Aprilia dando, inconsapevolmente, il via ad una dinastia diventata leggenda. Venticinque anni dall’esordio di Valentino Rossi. Una carriera inarrivabile, raccontata sulle pagine de “Il Giornale” dalla voce di chi ha creduto per primo, il primo team manager del Dottore, Giampiero Sacchi: “Dopo averlo visto correre un anno prima nel campionato Europeo decidemmo di costruirgli una scuderia attorno e lanciarlo in questa nuova avventura”. Mai scelta fu più azzeccata. Lo stesso Sacchi poi, continua con un simpatico aneddoto sul primo, vero, incontro a Tavullia dopo aver di fatto, suggellato l’accordo a Barcellona. Arrivato a casa-Rossi al volante di una macchina con un adesivo di Max Biaggi, Valentino fu subito chiaro: “Se dobbiamo lavorare insieme questo qui non ci può stare” gli disse. Una squadra quella del “primo Valentino Rossi” che lavorava come una famiglia, ordinata, efficiente, sempre attenta ai costi e alle spese.
Se Giampiero Sacchi gestiva la parte economica, Il lato tecnico-logistico era stato affidato al toscano Mauro Noccioli che ha ricordato come in Aprilia non ci fosse così tanta fiducia in Valentino Rossi: “E’ inutile che tu perda tempo con questo qui, è uno scarpone” gli dicevano. Nella prima gara in Malesia, però, arrivò sesto scrollandosi di dosso quei giudizi un po’ troppo affrettati. Un debutto con i fiocchi, impresso bene nella mente di Valentino: “Sono andato subito forte, un esordio molto positivo dove ho pensato ‘Dio bo…adesso nei prossimi gran premi siamo sempre davanti’ – ha raccontato – Mi ero un po’ montato la testa, e infatti le successive gare non sono andate per niente bene”.
Da scarpone a campione, il passo è stato breve, brevissimo. Valentino Rossi è l’incarnazione delle moto, l’uomo immagine di questo sport. Chissà che cosa penserà adesso chi lo steccò senza nemmeno averlo visto correre. Di corse ne ha fatte parecchie e continuerà a farle, come canta un suo omonimo Io sono ancora qua, eh già.