Danilo Petrucci è servizio pubblico. Quando ha scelto di partecipare alla Dakar - il suo primo rally raid internazionale - si era pensato ad una sorta di buona uscita da parte degli austriaci di KTM che lo avevano appena scaricato dal Team Tech3 in MotoGP. Forse l’avrà pensato anche lui. La storia invece è stata subito diversa e, in questi quattro giorni, il ragazzone di Terni ha spiegato al mondo il bello del motorsport: a dicembre si è rotto l’astragalo in allenamento; ha rischiato di rinunciare alla gara per positività al covid; ha corso finché la sua moto ha smesso di funzionare mentre lottava tra i primi cinque e, solo in mezzo al deserto, ha scoperto di aver perso documenti, telefono e denaro mentre un elicottero portava via la sua KTM 450. Poi la pioggia di notte, al freddo in quella tenda Quechua in cui si è messo a dormire come fanno i piloti della Dakar. Di lui qualcuno ha detto che è stato preso per mano dall’organizzazione per una questione di visibilità, perché la gente guarda la MotoGP coi suoi pilotini pettinati ma non la Dakar degli uomini veri. Qualcuno, al bivacco, deve aver tirato fuori una frase da blockbuster americano, un “benvenuto all’inferno” come lo direbbe il sergente col sigaro in bocca all’ultima delle reclute in Vietnam.
Danilo invece non ha mai smesso di sorridere e ha sorriso anche nel giorno in cui è andato tutto storto: “Nel giorno di riposo andrò a Riyad, passerò un giorno in ambasciata per riposarmi meglio e rifare il passaporto. Ma è stato bellissimo”. Questo non fa solo capire quanto possa essere dura la Dakar, fa anche riflettere sui livelli di stress a cui è abituato un pilota di MotoGP, sempre in bilico tra l’impresa e la catastrofe. Danilo è ripartito giocandosi il jolly, rinunciando quindi alla classifica generale ma non alle tappe giornaliere, per chiudere la classifica con un terzo posto che ha dell’incredibile: un podio così, all’Italia, mancava dal 2013 e lui, da esordiente, l’ha festeggiato con una pizza diavola. Poi è arrivata la penalizzazione di 10 minuti che il ternano, all’arrivo, aveva già messo in conto, e che lo ha relegato al 15° posto per aver superato i 30 Km/h in una zona controllata. Chiunque altro, probabilmente, starebbe schiumando di rabbia. L’infortunio suo, quello della moto, gli imprevisti, le penalizzazioni. Invece no, Danilo Petrucci ha sfoggiato uno di quei sorrisi che impongono di strizzare gli occhi e ha raccontato la sua giornata: “470 km nel deserto a tutto gas con una media di oltre 100 km/h e punte fino ai 170…e HO FATTO PODIO. Poi mi hanno penalizzato perché in una speed zone ho sorpassato i 30 km/h, la media in quel tratto era giusta ma ho sorpassato di poco il limite, ma sapete che c’è? Non me ne frega un c***o perché mi sono divertito come un matto!”.
Chissà se ce lo meritiamo un Danilo Petrucci, uno che ci spiega come si sta al mondo con la leggerezza di un salto nel deserto. Di sicuro lui merita la Dakar e tutti i complimenti ricevuti dal mondo delle corse. A farglieli c’erano anche i colleghi, da Aleix Espargarò a Lorenzo Savadori, Marc Marquez incluso. Dopo un mese così, per Danilo rientrare a casa sarà come atterrare su di un altro pianeta. Intanto però, Petrucci ha ricordato al mondo che questo è un pilota e che questo è motorsport. Il resto, classifica inclusa, è solo rumore.