Tra gli highlights del 2023 di Daniel Pedrosa in MotoGP è impossibile non inserire i weekend di gara di Jerez e di Misano Adriatico. Due i motivi: sono le uniche wildcard che il numero 26 ha disputato con la KTM in stagione e, soprattutto, sono stati due fine settimana degni di nota per Pedrosa, che in pista non ha certo recitato il ruolo della comparsa. Dani, a 38 anni, è stato protagonista in top class, battagliando alla pari con piloti più giovani che - a differenza sua (Pedrosa guida la RC16 nei test, quindi una volta ogni tre mesi, se va bene) - sono impegnati a weekend alternati in sella ad una MotoGP. Se a maggio, in Andalusia, Dani aveva ricordato a tutti come il suo talento cristallino fosse rimasto immutato (sesto in qualifica, sesto in Sprint Race e settimo in Gara), ecco che lo scorso settembre - tra le pieghe di Misano Adriatico - il pilota di Sabadell è andato oltre qualsiasi aspettiava: quinto in qualifica, quarto in Sprint Race, quarto in Gara, primo delle KTM in ogni turno ufficiale. Sia al sabato che alla domenica, oltretutto, Pedrosa ha sfiorato il podio e insidiato Pecco Bagnaia, terminando a meno di un secondo dall'ormai tre volte campione del mondo. Una prestazione talmente solida e significativa che tutti gli appassionati si sono convinti del fatto che il ritiro di Pedrosa come pilota titolare nel 2018 fosse prematuro. "Certo che Dani avrebbe potuto correre ancora qualche altro anno", la considerazione più spontanea e lampante dopo aver visto il 26 in azione nel weekend romagnolo.
Nel corso del documentario "Test Rider" - prodotto da Dazn Spagna e lanciato recentemente sulla piattaforma di streaming - Dani è tornato proprio sui motivi del ritiro, avvenuto nel 2018: "Volevo continuare a correre, ma ero stanco delle conferenze stampa, di dovermi giustificare sempre davanti ai giornalisti e di viaggiare in tutto il mondo per nove mesi all'anno”. Poi lo spagnolo ha dirottato il discorso sul suo nuovo ruolo di collaudatore (nel quale eccelle), tracciando un interessante paragone tra la mentalità e il diverso approccio che tester e pilota titolare hanno nel momento di scendere in pista: “Quando correvo dicevo sempre 'vorrei non avere così tanta sensibilità, non averla così sviluppata'. Perché così non avrei saputo la metà delle cose e non mi avrebbero influenzato così tanto. Quando sei molto sensibile e ogni cosa è al suo posto, è fantastico, ma quando qualcosa ti influenza e te ne accorgi, ti condiziona. Avere un po’ di sensibilità in meno quando si compete non è una cosa negativa, perché così si possono trascurare molte piccole cose che accadono".
Infine Dani, parlando dei suoi ultimi anni in HRC, ha svelato un segreto di Pulcinella: era evidente come la Casa di Tokyo sfruttasse la sensibilità di Pedrosa e le sue doti di collaudatore per sviluppare la moto, anche durante i weekend di gara. "Fare il collaudatore mi è sempre piaciuto molto, l’ho fatto per tanti anni in Honda nonostante le gare. Con me c’era Mike Leitner, che è stato il mio capotecnico alla Honda per molti anni. La moto era in un periodo di evoluzione, iniziato nel 2017. È stato un processo che mi ha portato a entrare in KTM, e parte del mio lavoro nel primo anno è stata quella di evidenziare quali fossero i problemi e ordinare le priorità. Ce n’erano così tante che abbiamo stabilito che fino a che non avessimo ottenuto la prima, non avremmo potuto passare a quella successiva" - ha precisato Dani, che in ultima istanza ha svelato segreti e caretteristiche proprie di un collaudatore della MotoGP: "Devi saper scegliere tra qualcosa di buono e qualcosa di cattivo. Bisogna analizzare bene ciò che si prova. Se gli ingegneri discutono su qualche aspetto della moto, devi avere ben chiaro che quelle decisioni sono molto importanti, perché poi si spendono molte risorse in quella direzione. Devi essere un buon leader e dire con certezza qual è la direzione giusta. Se si commette un errore e il progetto va nella direzione sbagliata, si penalizza tutto l’anno”.