Vincere conta, ma non è essenziale per essere amati. E’ il primo, potentissimo, messaggio su cui Dani Pedrosa ha messo la firma in un giorno d’aprile del ‘’23 a Jerez de La Frontera. Lui, meno di 160 cm d’uomo, è bastato da solo a ricordarci non tanto – come ormai si dice sempre e spesso a sproposito – che prima era meglio, ma che il segno che lasci conta molto di più dei riscontri che ottieni. 160 cm d’immenso, per metterla un po’ più poetica, come immensa è stata l’ingiustizia che uno così non avesse mai vinto un mondiale in MotoGP. Però tra i più grandi ce lo mettono sempre. Comunque e tutti. Rossi, Lorenzo, Pedrosa e Stoner, ripetuti ogni santo fine settimana come una formazione sacra, ignorando che uno dei quattro, in verità, la corona d’alloro l’ha vista solo sulla testa degli altri.
Eppure a Jerez erano lì quasi tutti per lui. Eppure il tutti in piedi è scattato solo per lui: cm pochi, anni parecchi, talento infinito. Anche dopo anni, anche sopra a motociclette che ormai richiedono un fisico bestiale e tanta forza per tenerle incollate a terra, in mezzo a ragazzini che sugli occhi hanno il sangue fresco e vivono, ormai, di dinamiche differenti. Non ce ne è stato uno, soprattutto tra gli spagnoli, che non ha speso una parola per Dani Pedrosa, come se per un giorno l’idolo di una vita ritornasse (o per alcuni diventasse) avversario, dimostrando che il talento non ha paura dei cavalli, che l’intelligenza sportiva è superiore anche alla ruggine delle articolazioni e che quando ti sei fatto amare tanto quell’amore non finisce insieme a una carriera, ma, anzi, si amplifica e si fa più potente.
Potente, appunto, come il messaggio che Dani Pedrosa ha tatuato in questo fine settimana di corse a Jerez, senza stare a ricordare nemmeno i freddi numeri dei due piazzamenti (pazzeschi) che ha ottenuto e la condotta di gara, compresa quella avuta nella Sprint che lui, Dani Pedrosa, non aveva neanche mai corso.
Di messaggio potentissimo, però, Dani Pedrosa a Jerez ne ha firmato anche un altro: Alberto Puig è un concentrato di ereditate scelte fortunate e volute scelte sbagliate. Fu lui, anni fa, a chiudere la porta in faccia a Dani Pedrosa, perché tanto c’era già quel Marc Marquez portato in Honda da altri e che andava fortissimo. Il piccoletto spagnolo, piuttosto che tradire o finire in Yamaha in un team satellite, decise che era giunto il momento di smettere, mettendosi però a disposizione di Honda come collaudatore. E Alberto Puig che ha fatto? Ha detto no anche a quello, con Pedrosa che, a quel punto, ha ceduto alle sirene di KTM. S’è messo in sella alla RC-16 e l’ha resa, insieme agli investimenti della stessa KTM e di RedBull, l’unica moto in grado di giocarsela seriamente con le Desmosedici. Poi in un giorno d’aprile a Jerez è pure sceso in pista, in mezzo agli altri, giocandosela alla pari con tutti gli altri e mettendosi dietro tutte le Honda guidate dai piloti volutamente scelti da Alberto Puig e orfane dell’unico pilota, Marc Marquez, che Alberto Puig ha solo ereditato.