"Non mi sono mai divertito così tanto" aveva detto ieri Daniel Ricciardo, dopo le serratissime qualifiche di Imola. Chissà se si è già ricreduto, dopo il podio di oggi sulla pista italiana. Il secondo di quest'anno, a colmare un digiuno con Renault durato quasi due anni, e arrivato quasi inaspettato, in un Gran Premio che racconta l'essenza di una stagione intera.
Incidenti, sorpassi incredibili, errori, eccessi e speranze. Tutto insieme, tutto grandioso, anche qui a Imola.
Il problema? Che l'adrenalina parte da lì, dal gradino oggi occupato da Daniel Ricciardo, quello più basso del podio. Perché anche quando Hamilton parte male, anche quando Bottas si ritrova con un detrito sotto la monoposto, anche quando qualcosa in Mercedes non va... i due trofei più grandi in competizione vanno sempre a loro.
Con uno che ottiene sempre quello che vuole, quasi non facesse fatica ad ottenerlo, che rimonta con la grazia e la cattiveria dei grandissimi; e con l'altro che insegue - al limite tra la sfortuna e la consapevolezza di ciò che non può battere - sempre pronto a non buttare via niente.
E allora ai tifosi, eccitati da un calendario incredibile come quello che la Formula 1 ci ha regalato quest'anno, si concentrano sull'unica cosa che in questo mondiale non ha l'aspetto monotono di una monoposto tedesca dominante e stravincente: il gradino più basso del podio.
Oggi - in quella Imola che ha dichiarato di amare tantissimo - ci è salito Daniel Ricciardo. Sorridente, spensierato, vestito coi colori di una Renault che il prossimo anno non saranno più i suoi.
E nella consapevolezza di aver ottenuto il meglio, di aver conquistato un podio che sa di vittoria, si basa un'intera stagione. Verstappen, Norris, Leclerc, Sainz... i nomi, sempre diversi e sempre imprevedibili, dei piloti protagonisti di quest'anno.
Così, nel giorno in cui la Mercedes ottiene il suo settimo mondiale costruttori consecutivo in Formula 1, gli occhi sono tutti puntati sul sorriso sincero di un ragazzo australiano, sulla sua tradizione di bere dalla scarpa (oggi assecondata anche da Hamilton) e sulle domande che questo ennesimo risultato ci costringe a fare riguardo al futuro di uno sport, la cui bellezza risiede (quasi) sempre sul gradino più basso del podio.
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