Ha imparato a prendersi il suo tempo, Daniel Ricciardo. Lo fa meditando per qualche secondo prima di rispondere a ogni domanda, accovacciato sullo sgabello in uno degli angoli più riparati della grande hospitality della famiglia Red Bull, nel paddock dell'Hungaroring. Ascolta la domanda, annuisce, pensa in silenzio per cinque, sei secondi, e poi inizia un discorso lineare, convinto, senza ripensamenti. Quando parla guarda dritto negli occhi e sorride spesso, mostrando gli ormai famosissimi denti, infilando qua e là qualche parola di italiano per smorzare forse i temi più pesanti. È l'atteggiamento di un Daniel Ricciardo cresciuto, lontano nel tempo e nella forma da quel ragazzo che 13 anni fa faceva il suo esordio in Formula 1 tra le speranze e le certezze di chi lo vedeva già campione del mondo, una, due, molte volte. "La vita a volte fa giri strani e va bene così" dice piegando il collo da un lato, ripercorrendo quello che ha funzionato e quello che invece non è andato, in oltre un decennio di vita tra le curve della massima serie. Non è una frase fatta, Daniel ci crede davvero. Perché ogni scelta fatta, giusta o sbagliata che fosse, lo ha portato dov'è oggi, e ogni crisi, addio e ritorno lo ha rimesso in piedi, consegnandoci un australiano ancora affamato di vittorie e di velocità. Il suo è un viaggio che attraversa il dolore, fisico e mentale, la gioia dei successi più belli, l'incapacità di comprendere le proprie difficoltà, in un mondo - come quello della Formula 1 - cambiato più in fretta che mai nel corso dell'ultimo decennio.
Daniel, con il fine settimana in Ungheria inizia la seconda parte della stagione. Che voto ti dai sulla prima metà dell'anno appena conclusa?
In italiano direi che la prima parte è andata "così così". Come voto mi darei un sei su dieci perché alcuni risultati credo siano stati molto buoni ma non sono sempre stato costante come avrei voluto. In alcuni weekend, come Miami e Canada, ho sentito di aver tirato fuori tutto dalla macchina. Questo mi ha dato fiducia perché so di poter ottenere delle prestazioni di alto livello, ne sono ancora in grado. E ovviamente voglio riuscire a migliorare nella costanza per ottenere questi risultati sempre più spesso.
Nella seconda parte dell'anno invece, che aspettative hai?
Voglio un dieci su dieci.
Quando sapremo qualcosa sul tuo futuro per il prossimo anno?
Non lo so. Penso che il periodo che ci separa dalla pausa estiva sia molto importante, perché se si chiude prima dell'estate con dei buoni risultati si arriva poi con un bel vantaggio per poter parlare del futuro durante la pausa e subito dopo. Quindi diciamo che al momento mi concentro sul fare bene qui, poi vedremo durante la pausa.
Nella famiglia Red Bull i rumors sui possibili cambi di pilota sono sempre tanti, ora per esempio si parla molto della situazione Perez. Questi rumors sono qualcosa che ti carica o che ti mette pressione sul futuro?
In un certo senso mi piace. La pressione esterna, quella che arriva dai media, a volte è un po' fastidiosa mentre quando la pressione viene dalla Red Bull, internamente, mi piace perché sono abituato a questo tipo di spinte da quasi tutta la mia carriera. Quando sai che le sollecitazioni sono interne sai anche che vengono fatte perché le persone con cui lavori e che ti conoscono vogliono che tu raggiunga il tuo potenziale. Per esempio qualche settimana fa Helmut ha detto alcune cose su di me ai media ma per me non è un problema, è come se dicesse: "Ok, sto solo cercando di assicurarmi che tu sia pronto". E per me va bene, è una pressione positiva.
Facciamo un passo indietro all'anno scorso: qui a Budapest sei tornato in Formula 1, dopo quasi mezza stagione di stop. Sono state delle montagne russe emotive quelle della scorsa stagione. Mi racconti com'è andata?
Sì, hai detto bene: la scorsa stagione è stata una vera montagna russa. Quando sono tornato in pista qui a Budapest ero davvero eccitato, curioso di tutto e non vedevo l'ora di scendere in pista, di conoscere la squadra, vedere come si comportava la macchina. Lì ho davvero ritrovato l'amore per questo sport: ero motivato e affamato. Credo che quei sei mesi di pausa vissuti all'inizio dello scorso anno mi abbiano dato il tempo per ritrovarmi e innamorarmi di nuovo della Formula 1.
Poi, dopo pochissimo, è arrivato un altro stop quando a Zandvoort ti sei rotto un braccio durante un incidente nelle prove libere...
Sì, è stato davvero brutto anche a causa del momento in cui è arrivato, poco dopo il mio rientro, però non ha cambiato niente nella mia motivazione. Liam (Lawson) mi ha sostituito per alcune gare e quando sono tornato avevo lo stesso entusiasmo ritrovato a Budapest.
Com'è il ritorno in pista dopo un infortunio? Hai bisogno di tempo per ritrovare la confidenza di prima?
È frustrante essere costretti a stare fermi perché per tutta la vita, se non gareggiamo, ci alleniamo per gareggiare. Fisicamente cerchiamo sempre di restare forti e al meglio delle nostre possibilità. Stando in ospedale o a letto non potevo sollevare pesi o fare molto altro, l'unica cosa che potevo fare era allenarmi sulla cyclette. Ovviamente così si diventa frustrati e si ha la sensazione che ogni giorno che passa si perda un po' di forza e un po' di capacità.
E questo ha influito molto nel periodo del tuo stop?
No, perché a un certo punto non si può guardare la cosa in modo troppo negativo. Ovviamente ti viene da dire: "Cavolo dai, mi è successo proprio quando sono appena tornato in Formula 1" ma la realtà è che ho 34 anni, ho corso per tutta la vita, faccio un lavoro pericoloso, e quella è stata la prima volta in cui mi sono rotto un osso correndo. Non è male, non posso lamentarmi.
Torniamo al presente: si parla molto del regolamento tecnico che vedremo in pista a partire dal 2026. Tu ti sei già fatto un'idea su che cosa ne pensi?
Non del tutto. Al momento è sicuramente molto complesso e per questo, probabilmente, è anche piuttosto complicato. Non so cosa pensare. Quando c'è un cambio di regole c'è sempre chi ne è entusiasta e chi invece preferirebbe restare nella situazione attuale. Ho visto che le macchine saranno un po' più piccole e questa per me è una buona cosa. Ma mi piacerebbe vederle ancora più piccole e leggere, com'erano un tempo. Questo sarebbe davvero un mio grande desiderio per la Formula 1 dei prossimi anni.
Sono passati 13 anni dal tuo debutto in Formula Uno e questo è un mondo che si trasforma in fretta. Com'è cambiato questo sport in oltre un decennio?
Penso che lo sport in sé non sia cambiato molto in termini di principio: lo sviluppo, le squadre che si spingono sempre oltre, gli obiettivi dei piloti... tutte queste cose sono rimaste le stesse. Quello che è cambiato di più è la popolarità dello sport: oggi ovunque andiamo, in qualsiasi città e in qualsiasi parte del mondo, l'albergo dove alloggiamo è pieno di fan che ci aspettano. Oggi la F1 è molto più popolare rispetto a quando ho iniziato e questo fatto cambia alcune dinamiche.
E ti piace questa popolarità?
Alcune cose sì mentre altre no. Non mi piace essere circondato dalla gente, per esempio. Ma mi piace molto il fatto questo sport sia sempre più rispettato dal grande pubblico e conosciuto. Io amo la Formula 1 e vedere che sempre più persone la amano e la vedono come l'ho sempre vista io, fin da quando sono bambino, è fantastico. Ovviamente questo poi comporta avere un po' di privacy in meno ma va bene così, è un equilibrio.
C'è qualcosa che oggi diresti al Daniel di 13 anni fa, al suo debutto in Formula 1?
Gli direi: rilassati. Correvo come un pazzo, cercavo di fare tutto in un weekend, di essere ovunque. Gli direi di rilassarsi un po' e di aspettare, le cose arrivano con il tempo.
C'è qualcosa che cambieresti di questi 13 anni?
Penso che la mia decisione di lasciare la Red Bull nel 2018 sia stata decisiva nella mia carriera. Non me ne pento perché in quel momento, con le informazioni che avevo e le persone che erano accanto a me, abbiamo pensato che fosse la cosa migliore. Ma con gli occhi di oggi, guardandomi indietro, mi dico: quella è stata la decisione migliore e la più intelligente? Molto probabilmente no. Ma all'epoca avevo un team diverso, un management diverso. Non voglio dire che sia tutta colpa loro, ma ovviamente l'influenza era diversa da quella attuale.
Quindi cambieresti quel momento?
Accetto il fatto che, guardandomi indietro, quella forse non è stata la decisione migliore, ma non me ne pento perché in quel momento è stata la cosa più sensata da fare per me e per le persone che erano con me. Ora, sei anni dopo, quella decisione fa parte della vita che ho avuto e di quella che ho oggi. Le cose si affrontano per imparare e crescere, io guardo indietro e dico: "Ok, forse questa cosa è successa per un motivo, e forse ora sono tornato nella famiglia Red Bull perché è così che doveva andare la mia storia". Devi accettare e reagire, così si va avanti.