Ha preteso di correre con la moto che aveva appena sfasciato. Enea Bastianini lo ha raccontato subito dopo la vittoria di LeMans, presentandosi ai microfoni di Sky quando sulla faccia aveva ancora il sudore della gara e la festa del podio, come i piloti di una volta che non stavano tanto a guardare a ciò che non conta. Come l’immagine perfetta della storia che il ragazzo di Rimini interpreta: l’outsider a cui credevano in pochi, dentro una squadra su cui non avrebbe scommesso nessuno e che invece adesso sta lassù davanti a tutti.
Il Bugatti Circuit di Le Mans è una pista che gli piace da sempre e che lì, proprio in mezzo al verde della Loira, avrebbe cercato di ritrovarsi, era chiaro a tutti sin dai test di Jerez. In Spagna, infatti, Ducati aveva portato a Bastianini un aggiornamento per la sua Desmosedici, una carena che, almeno sulla carta, avrebbe dovuto garantire migliore agilità. Invece il Bestia non c’ha pensato su un secondo: “ringrazio per la carena, ma in Francia non penso di usarla”. Quasi spavaldo, quasi kamikaze. Poi questa mattina ha rifatto qualcosa di simile, dopo una brutta scivolata nel warm up. Correre con la seconda moto? No, neanche per sogno: il Bestia ha sbattuto i pugni nel box e, a costo di farsi prendere per capriccioso, ha preteso di correre con la moto uno, quella con cui aveva già stabilito un rapporto.
Pretendere. Come un verbo che ricorre e che non suona affatto di negatività, come il verbo che non è dei prepotenti, ma dei vincenti. Perché pure a pretendere ci vuole coraggio. E ce ne vuole tanto, visto che chi ha preteso e ha avuto, poi non può sbagliare. Quando nei mesi scorsi, a Faenza, Nadia Gresini ha preteso di presentare il team prima di chiunque altro, c’è stato chi ha storto un po’ il naso. Quando quella donna che s’era appena messa al timone di una squadra di MotoGP disse che pretendeva almeno una vittoria di Enea Bastiani, non è mancato chi ha sorriso sarcasticamente. Pretendere come estremizzazione del volere. Oppure come volontà a cui si aggiunge il cuore, oltre al coraggio. Fino a crederci veramente, mantenendo, però, quell’ambiente di famiglia che si inventa squadra e che, invece, non si improvvisa neanche un po’. Ma, anzi, arriva persino a sembrare molto più ben organizzata e meno in balia dell’improvvisazione della Ducati ufficiale, sempre più avvezza a pasticci e confusione. Eppure anche lì, come in tutti gli altri, non mancano di sicuro il cuore il coraggio. E allora, guardando un’immagine immediatamente successiva alla bandiera a scacchi, viene da pensare che la differenza nel Team Gresini la fanno le carezze. Come quella, bellissima e commovente, che proprio Nadia ha allungato sul casco di Enea nel parco chiuso. Un braccio proteso e una mano che si apre mentre gli occhi cercano gli occhi, come a dire “grazie” a quel ragazzo di Rimini, ma anche come a dirgli che “no, adesso non c’è da fermarsi e che, anzi, c’è la pretesa di non fermarsi”. Di cuore, di coraggio e di carezze sul casco hanno bisogno le corse e, forse, è ciò di cui abbiamo bisogno tutti anche giù dalle motociclette.
Ce l’hanno insegnato, e dimostrato, Enea Bastianini e Nadia Gresini in una domenica di maggio a Le Mans, senza scomodare l’aiuto di chi non c’è più, le eredità morali e quelle cose lì. Che contano e contano tanto, ma che non fanno punti e non servono davanti a una realtà che di solito è più cinica e chiede una cosa sola: andare avanti e nel miglior modo possibile. Scoprendo, magari, di essere capaci di sovvertire pure ciò che invece sembra scolpito nelle certezze: come la Ducati che era rossa, ma adesso è azzurra, soprattutto dopo che Pecco Bagnaia ha buttato via la gara e probabilmente pure il mondiale. Con quelli di Borgo Panigale che, forse, dovrebbero lasciar fare a chi si pensava che sapesse fare di meno e invece sta lassù. Dove stanno quelli che sanno pretendere ...e protendersi.