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Di rispetto, eroi ed emozioni: nella terra di Max trionfano (ancora) i migliori

  • di Giulia Toninelli Giulia Toninelli

5 settembre 2022

Di rispetto, eroi ed emozioni: nella terra di Max trionfano (ancora) i migliori
Lo vogliamo cattivo, immaturo, fortunato e falloso. Così Max Verstappen, il nemico numero uno della tifoseria italiana in Formula 1, è semplicemente più facile da odiare. Lo vogliamo come non è, perché in questa stagione l'olandese della Red Bull sta dimostrando una cosa che, a Zandvoort più che mai, è ormai chiara a tutti

di Giulia Toninelli Giulia Toninelli

Max Verstappen sorride rilassato e ce l'ha scritto addosso che lo sa, lo ha sempre saputo, che quel gradino più alto del podio è il suo posto nel mondo. Ce l'ha scritto in faccia mentre gli risuona nelle orecchie l'inno olandese davanti ai tifosi di casa, un popolo intero mosso dall'esuberanza sportiva di un ragazzo indemoniato che, tolto dalla sua macchina, sembra un altro. 

Un ex bambino programmato per il successo, un ragazzo dal talento fuori dal comune che per arrivare dov'è, con le scarpette oro ai piedi e il numero 1 dei campioni del mondo, ha dovuto fare i conti con il proprio carattere, la voglia di emergere, il desiderio di essere sempre e comunque il migliore, costi quel che costi. 

Sul gradino più alto del podio di Zandvoort c'è un ragazzo che si è conquistato il titolo del più odiato, massacrato dai media e demonizzato. Un pilota che ha vinto il suo primo titolo mondiale nel modo più controverso della storia recente della Formula 1, acquisendo - senza colpe - anche la fama del ladro, di chi non ha vinto per meriti ma per giochi di complotti e politica. 

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Ma su quel gradino Max guarda la folla di tifosi Orange, una nazione interamente mobilitata dal suo talento, un popolo che si è dedicato alla Formula 1 dopo il suo successo così come, prima di lui, solo i grandi hanno saputo fare allo stesso modo. Li guarda e sa finalmente chi è, che cosa è riuscito a dimostrare, quali sfide personali e professionali ha dovuto affrontare per arrivare all'apice della storia del motorsport. 

Lui lo sa, loro lo sanno, poco importa degli altri. Sorride di un sorriso sincero, timido. Così lontano dal leone da battaglia, dal cattivo del ring, con cui siamo soliti disegnarlo. Nel post gara corre a salutare Charles Leclerc, suo avversario bambino, suo rivale di sempre per cui - lo ha ripetuto più volte - nutre maggior rispetto. Lo vuole sfidare in pista, gli dispiace vederlo affossato dai problemi continui che troppo presto, nel corso di questa stagione, lo hanno tenuto lontano dalle lotte serrate dei primi giorni. 

Abbraccia tutti, dalla fidanzata Kelly alla sorella, da mamma a papà. Hanno tutti le lacrime agli occhi, nel vedere lo spettacolo che ha creato, il mondo che mosso, il percorso che sta scrivendo nella storia di questo sport. Anche Jos, padre terribile e severissimo, si lascia andare: Max a Zandvoort indossa un casco in suo onore, un omaggio al pilota che è stato e soprattutto all'uomo che lo ha portato dov'è. Mette da parte anche il rancore, il giovane Verstappen, e i tempi difficili segnati da un padre che lo voleva a tutti i costi vincente, eccellente, un passo sopra tutti gli altri. 

Fa spazio per tutto, senza la paura di chi viene già considerato troppo forte, troppo noioso o troppo vincente. E sorride timido, guardandosi le scarpette d'oro ai piedi, mentre gli Orange urlano il suo nome. Dite di me quello che volete, sembra pensare dal gradino più alto del podio, io sono qui. Questo è il mio posto e l'ho meritato. Il resto non importa. 

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