“Grazie Fabio”. Le urla e i pianti a fine gara, il bagno nella piscina gelata dell’albergo a notte fonda e ancora i cori, gli abbracci con Sumi san, il capo progetto, e tutti i giapponesi. E ancora il ringraziamento da parte di mamma Martine e papà Etienne. “I genitori di Fabio (Quartararo) non smettevano di ringraziarmi, in realtà sono io a doverli ringraziare. Un campione così nasce una volta ogni era, è più facile trovare bravi capotecnici”.
Il primo titolo Diego lo aveva vinto con Daijiro Katoh nel 2001, ma quella volta da elettronico del team di Fausto Gresini, domenica, a Misano, Gubellini ha festeggiato da capotecnico. Il successo del francesino dal sangue siciliano è stato costruito insieme, passo dopo passo, dal 2019, anno di esordio di Quartararo in MotoGP. “Ho visto Fabio per la prima volta 3 anni fa in una riunione conoscitiva negli uffici del team Petronas. Mi ha fatto subito un’ottima impressione per i modi gentili ed educati. Non ha fatto troppo domande, ma mi ha colpito la luce nel suo sguardo. L’occhio del campione”.
Fabio arrivava da predestinato.
“La stampa lo ha definito così da quando aveva 15 anni per il dominio che aveva avuto nel Campionato Spagnolo. In realtà lui non si è mai sentito a suo agio in questa definizione. La qualità che ho apprezzato di più in questo ragazzino è stata proprio la capacità di ascoltare. Sin dal debutto in MotoGP abbiamo adottato un metodo particolare: coinvolgerlo e spiegare ogni singolo intervento che facevamo sulla moto così che potesse imparare a conoscere e capire la moto, la messa appunto e sviluppare una sensibilità sempre maggiore con il mezzo”.
Missione compiuta.
“È stato un percorso che abbiamo fatto insieme. L’anno dell’esordio è stato eccezionale perché dalla quarta gara era riuscito ad essere sempre veloce e in lotta per il podio. Nel 2020, invece, è andato veramente forte solo in poche circostanze. Dopo la doppietta di Jerez a inizio mondiale sembrava fatta… C’era la possibilità di vincere il mondiale, ma ci siamo trovati con una moto molto diversa ed eravamo in difetto a livello tecnico. C’era quindi un divario tra moto e pilota, cosa che non c’era quest’anno con una moto tornata più simile al 2019”.
La Yamaha è la moto più bilanciata della griglia?
“Vorrei sfatare il mito che la M1 è una moto facile da guidare. Certo è una moto vincente, altrimenti non saremo qui a festeggiare, ma è un insieme. In Yamaha, infatti, l’unico pilota costante è Fabio. La M1 che abbiamo avuto quest’anno gli ha consentito di essere veloce in tutte le piste. Fabio si è ritrovato nella condizione tecnica del 2019, per questo è stato sin da subito più forte e consapevole delle sue possibilità”.
Come valuti la crescita del pilota?
“Fabio è sempre stato super critico con se stesso. Come in tutti noi, c’erano dei lati da smussare, soprattutto canalizzare tutte quelle forti emozioni con cui convive chi corre ai massimi livelli: la pressione astronomica, il successo ma anche i fallimenti… È normale, quando arrivi nella massima categoria a 20 anni. Sei ancora un ragazzo e devi gestire cose più grandi di te”.
Così l’idea di ricorrere ad uno psicologo.
“Ne abbiamo parlato, è stato un mio suggerimento, ma ci credevo al punto che l’ho voluto sperimentare anch’io in prima persona per aiutarmi nel mio ruolo di capotecnico - che significa lavorare sotto pressione, prendere delle decisioni importanti in frazioni di secondo, gestire i ragazzi della squadra. Mi è servito tantissimo”.
Fabio è un leader nel box?
“È un leader in pista a suon di giri veloci e risultati, nel box invece è un uomo squadra. La sua dote principale è il sorriso: ride e scherza con tutti. Ha una parola per ognuno, fa sentire tutti importanti e mette il buonumore. Questo è fondamentale”.
Dopo un 2020 caratterizzato da tanti alti e bassi, nel 2021 è arrivata la costanza di rendimento.
“Sicuramente un punto chiave. Il successo è stato costruito gara dopo gara. Vincere con la Yamaha al Mugello, che è casa Ducati e dove avevano vinto 3 volte gli ultimi 3 anni con Dovizioso, Lorenzo e Petrucci, è stato determinante perché ci ha fatto capire che eravamo messi davvero bene. Ma direi anche le due gare in Austria sono state decisive”.
Come avete vissuto la vigilia del Gp di Misano2? Per la prima volta quest’anno Fabio non era entrato neanche in Q2.
“Non ci aspettavamo di vincere il titolo domenica. Il risultato della qualifica non rifletteva certo il livello in pista, anche se le condizioni miste ci avevano penalizzato”.
Tanta pressione?
“Non è mai stata in dubbio la vittoria del titolo. Per Misano avevamo messo in atto una strategia per perdere meno punti possibili da Bagnaia, massimo 10, e arrivare in Portogallo pronti per la zampata finale. Da 16° Fabio aveva fatto una rimonta eccezionale, era arrivato addirittura 5°. Poi Pecco è caduto”.
Cosa vi siete detti in griglia?
“L’atmosfera era quella delle grandi occasioni, anche se Fabio partiva troppo indietro per pensare a vincere il titolo quella domenica. In griglia, il volto di Fabio, sempre sorridente, ha tradito una smorfia di tensione, così, prima di lasciarlo, mi sono avvicinato. ‘Ho un sasso nello stomaco’, mi ha detto. ‘Non ti preoccupare’, l’ho rassicurato, ‘alla prima curva se ne va’. Così è stato”.
E sotto podio?
“‘Il sasso se n’è andato’. E’ stata la prima cosa che mi ha detto. Tra noi c’è fiducia e complicità. I podi e le vittorie conquistati in queste tre stagioni di corse insieme ci hanno unito, ma sono stati i momenti di difficoltà a forgiarci. Non ho mai dubitato che Fabio potesse diventare un giorno campione del mondo. Neanche lui. Quando ci siamo abbracciati è stato solo la conferma di qualcosa che sapevamo già”.
E adesso?
“Quest’anno mi sono imposto un rigore psicologico tale che pensavo che una volta vinto il titolo mi sarei rilassato, invece sono già a pensare ai prossimi passi da fare”.
Il successo rischia di far perdere il contatto con la realtà.
“Penso che resterà il Fabio di sempre. Il titolo gli darà ancora più fiducia. Del resto, è sempre stato bravo nelle seconde volte: sia quando si è trattato di rimediare ad un errore, sia dopo un successo. Ha affrontato le cose con più maturità. Non ci scordiamo che Fabio ha solo 22 anni”.